No, non è il punk, è il free-jazz.
Soprassedendo gli esperimenti di Lenny Tristano di fine anni Quaranta (e poi di altri), il free-jazz (chiamato all’inizio “new thing”) è nato e cresciuto in USA negli anni Sessanta per opera di musicisti di colore.
Coerentemente all’essere una musica “contro”, di ribellione all’establishment, il free-jazz riduce al minimo il ritmo swing col walking bass, i metri con scansioni di misure, le sequenze accordali, i riff e i temi melodici: e così è Where Fortune Smiles.
No, in realtà questo disco (e altri del genere) non è così radicale, minimi e celati ganci e ponti connettivi tutto e tutti esistono, e non solo nelle due affascinanti ballad, certamente non “free”. l’omonimo pezzo e Earth Bound Hearts (peraltro nella poetica free sembra sia necessario il gorgo di energia dato dalla velocità), ma anche nel principiare (e nel concludere) gli altri e ben più rapidi e violenti (e più lunghi) brani: Glancing Backwards, New Place, Old Place e Hope.
In ogni caso la continua dialettica sonica del velocissimo flusso (apparentemente) del tutto caotico, in insistita collisione tra gli elementi, sprigiona un estremo calore che sgretola i legami che normalmente condensano le parti musicali, fa sprizzare in tutte le direzioni scintille di feroce energia: quella di questo disco è musica selvaggiamente elettrica.
Where Fortune Smiles è da maneggiare con cura, può ustionare.
Dopo Extrapolation (1969), le esperienze con Miles Davis, My Goal's Beyond e il pre Mahavishnu Orchestra Devotion, Where Fortune Smiles è un fondamentale tassello dello stupefacente mosaico che in quegli anni John McLaughlin stava creando.
John McLaughlin è uno dei grandi chitarristi solisti che ho raccontato nel libro Eroi Elettrici.