Dal Blues di T. Bone Walker e dei tre King nei ’60 si arriva alla declinazione più elettrica e rock di Eric Clapton e Jimmy Page; poi c’è quella ellittica e sempre più divergente da queste radici di Jimi Hendrix, Ritchie Blackmore e Jeff Beck, che ha portato prima a Edward Van Halen e poi a Steve Vai e Joe Satriani. La terza via è quella più eccentrica dal Blues e meno basata su ricerche tecniche prettamente manuali-strumentistiche, quella maggiormente incline a sperimentazioni sotto molti aspetti (anche timbriche-elettroniche), più vicina a linguaggi e lessici alternativi con venature etniche e jazz (Frank Zappa, Carlos Santana, Robert Fripp…).
Seppur in linea di principio non necessariamente né perfettamente aderenti a tutto ciò, di solito i basilari terreni delle musiche dei chitarristi sono connessi a questi tracciati stilistici. Ovviamente di tutto e tutti ci sono gradazioni ed eccezioni. (Un ottimo erede mediano tra le due vie maestre hendrixiana-zappiana è stato Adrian Belew.)
Della prima via, quella più “mainstream” con i loro coevi epigoni più o meno famosi e bravi (per esempio David Gilmour), è connaturata poca ricerca di strutturali soluzioni musicali originali, al netto dei timbri chitarristici. Uno dei più noti chitarristi degli ultimi tempi che ha incarnato ciò è Joe Bonamassa.
La seconda, che ha connaturata la pirotecnia, ha generato una pletora di chitarristi che hanno fatto letteralmente a gara per decretare chi fosse il più veloce e meccanico produttore di suoni; e come i campionati mondiali di calcio, ogni quattro anni si decretano le classifiche. A oggi tra i più celebrati c’è Guthrie Govan.
E come i bravi imitatori, tutti davanti allo specchio! con accanto le immagini da replicare: i primi emulano le azioni dei nonni coi vestiti di oggi, i secondi le piroette degli acrobati dei circhi con le reti di protezione.
A livello musicale tutti oggettivamente monotoni e fini a se stessi. E sofferenti: i primi di arcaizzazione atrofizzante, i secondi di flatulenza superflua; i primi paralizzati, i secondi incorporei.
P.S. La terza via maestra, quella che potenzialmente offriva di più al Rock, non è stata un granché percorsa, David Torn è uno dei pochissimi chitarristi di rilievo in tal senso; però è stata invertita, nel senso che alcuni grandi musicisti dell’area jazz ne hanno fatto tesoro, e il più notevole è Bill Frisell: tra i più completi chitarristi elettrici in assoluto. (Come per Torn, la stagione più creativa di Frisell è quella iniziale, nel decennio tra metà anni ’80 e i ’90.)
Tutti i chitarristi sopra citati sono raccontati nel libro Eroi elettrici.