Diverse cose ne hanno determinato la rapidissima ascesa: il periodo storico appena accennato, le capacità tecniche, l’abilità nel renderle musicali, la nuova immagine di guitar hero non più tenebroso, esoterico, contorto e perennemente incazzato con il mondo, ma fresco, semplice e spontaneo. E i suoni inusitati ed estremi, le linee fluidissime le urla e i fischi che Van Halen già dal primo disco aveva tirato fuori da una comune chitarra elettrica, furono oggetto, prima di stupore e curiosità, poi di forsennati tentativi di emulazione, quindi innalzati a nuovi parametri di giudizio per i neorockers.
Gli elementi tecnici innovativi introdotti da Van Halen furono vari e devastanti per la vergine mano destra e per le innocenti chitarre: oggi tutti i chitarristi e non solo rock, conoscono e applicano il famigerato tapping, che è stato ispirato a Eddie dall’ascolto di “Heartbreaker” dei Led Zeppelin, e dal suo conseguente tentativo (riuscito) di riprodurlo, il tapping è quindi diventato nel giro di alcuni anni patrimonio tecnico comune; prima acclamato poi studiato e sfruttato, per alcuni è diventato il principale modo di suonare e da molti anni dato quasi per scontato.
Anche la leva del vibrato è stata resa popolare dalle gesta di Eddie: fino ad allora era stata piuttosto ignorata, lo stesso Beck ci si era appena avvicinato, (poi negli anni '80 l’ha usata pesantemente), solo Hendrix e Blackmore l’avevano un po’ sfruttata, ma comunque mai in maniera sistematica e massiccia tanto da farla diventare una nuova frontiera tecnica su cui misurarsi. L’impatto è stato così devastante che addirittura l’industria si mise in moto: la prima chitarra (su disco) di Eddie è stata una strato customizzata con un P.A.F. humbucker al ponte e la leva fender che ovviamente, “causa maltrattamenti”, spesso non era affidabile come resistenza strutturale e accordatura. Il risultato di ciò fu che nel volgere di poco tempo sono nati vari tipi di ponti con leve come Khaler, Shaller, Floyd Rose (in diretta collaborazione con Van Halen) che permettevano una maggiore escursione tonale e tenuta dell’accordatura.
Si badi bene che a parte eccezioni, Van Halen suona canzoni, dure quanto vi pare ma sempre canzoni e R&R, e se non fosse supportato da vero talento, quel suo modo frastagliato di suonare, tendente al siparietto, lo avrebbe portato facilmente ad essere controproducente per l’economia della canzone e quindi del gruppo.
Van Halen ha sempre dichiarato che lui le parti di chitarra le registra live, cosa rarissima soprattutto di questi tempi. Eddie si stupisce quando le persone si sconcertano per le sue metodologie in registrazione, ma d’altronde lui è forse l’ultimo grande rocker a suonare così “live”, cosa invece fondamentale per saper reagire alle vicende musicali che si susseguono in un gruppo: lavorare insieme ad altri musicisti in tempo reale (cantina o sala) è una importantissima palestra che fa i muscoli e le ossa e fa in modo che il chitarrista sviluppi la maniera giusta di interagire e accompagnare (cosa spesso trascurata, ma non da EVH che è brillante anche in questo), restituendoci così il suo valore esecutivo più reale e meno virtuale.
A Van Halen si può rimproverare quella piccola incoerenza che è la riproduzione piuttosto fedele dal vivo di ciò che è stato frutto di estemporaneità in studio e anche un’oggettiva povertà melodica che a parte qualche rara occasione (“Love walks in”, “Ain’t talkin’ about love”), è evidente nei suoi soli. Ma questo si può tranquillamente perdonare a chi ci ha dato tanto.
Tratto dal libro 📙 Eroi elettrici - I grandi solisti della chitarra