Carlo Pasceri
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Libro Eroi Elettrici

Il fascino irresistibile dei ritmi tribali

2/6/2019

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Come tutti ebbi il primo contatto con la musica attratto dal vitale pulsare ritmico; la sincronizzazione del corpo e della mente a quel particolare frazionamento del tempo: tanto elementare quanto irresistibile.
Molte persone in seguito attirate più dai motivi melodici. Io mica tanto...
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Nella mia camera, accanto alla chitarra classica che volli acquistare e che strimpellavo nell’estate del 1978, avevo già dei sontuosi quanto pesanti e ingombranti bonghi che con pari abilità della chitarra malamente sbatacchiavo, “andando appresso” ai dischi che ascoltavo in quei primi anni di meravigliose esperienze musicali.
 La musica di matrice tribale in special modo di origine africana ha sempre esercitato un possente fascino su di me. Quindi tutte le musiche che hanno qualche elemento, anche se velato o minimo, di questo genere mi attraggono come dei poderosi magneti un pezzetto di ferro.
Perciò ho sempre particolarmente amato tutti quegli artisti che esplicitamente hanno immesso fattori di questo tipo, come Dizzy Gillespie, Santana, i Mwandishi di Herbie Hancock, i Weather Report e molti altri del genere.
Poi anche Manu Dibango, Fela Kuti, Osibisa (considerevole anche Bob Marley e i suoi amici), che hanno dal versante più africano portato avanti una basilare fusione con gli elementi occidentali, giungendo a una significativa sintesi che ha naturalmente delle forti denotazioni di musica da ballo.
E siccome questi sono sorti musicalmente (a cavallo tra gli anni Sessanta e Settanta dello scorso secolo) insieme col fratello Funk (che quindi tanto mi garba), vi fu all’epoca un’ulteriore stratificazione, un’osmosi che addirittura è sfociata negli anni successivi con la Dance di matrice elettronica.
​
Tra i più spettacolari e celebri esempi di questo, anche in termini di furbizia commercial-artistica, c’è il famosissimo brano dell’indiscusso Re del Pop Michael Jackson Wanna Be Startin' Somethin', apertura del disco Thriller (’82): pezzo neoafricano.
Infatti “Wanna”, che a tutta prima ha caratteristiche del genere Dance (o Disco music come si diceva all’epoca), è l’esito di una notevolissima mutuazione che Jackson, coadiuvato dal grande Quincy Jones, ha effettuato con quella musica africaneggiante di circa dieci anni anziana… Direttamente con Manu Dibango, e in modo specifico.
Il debito è manifesto nella lunga coda di “Wanna” (a 4’44”) nella quale Jackson riprende con il coro parte del cantato di Soul Makossa di Dibango.
Tuttavia c’è ben di più di questa sezione, ove è facile trovare la copiatura (vuoi per la diretta assonanza tra il ritmo e le parole dei due pezzi): in sostanza la gran parte di Wanna Be Startin' Somethin' è da considerare sorta di super arrangiamento di Soul Makossa; pertanto sue variazioni e varianti, nemmeno troppo profonde.
Tutti e due brani hanno un impianto modale (peraltro non così comune per Jackson) con la stessa morfologia e sintassi, infatti, il riff di basso e delle chitarre insieme col cantato e il groove ritmico hanno rilevanti fattori di similitudine pure in termini di loro relative connessioni, seppur in “Wanna” è tutto più elettronico, stratificato e sofisticato (tramite frammentazione di micro parti distribuite tra i vari strumenti). 
​Mi piace.
Eh già, cervello uno e trino, dicono gli scienziati, rettiliano, limbico e neocorticale; in effetti mi piacciono tutte e tre le tipologie di musiche. 

Certo, ammantando come ha fatto Michael Jackson con tutti quei suoni solitamente elettronici la cruda carnalità che caratterizza quel tipo di musica limbico-rettiliana che mi ha sempre attratto, fosse pure fatta di un paio di percussioni e un riff, ne neutralizza parecchio il fascino; ciononostante a volte mi sono ritrovato magnetizzato anche da successive e ben più gravi “depravazioni”… Sì, lo confesso, a bassa voce: quelle techno-rettiliane degli anni Novanta.  
Che Dioniso sia con me, e con il mio spirito.  

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    Carlo Pasceri
    Chitarrista, compositore, insegnante di musica e scrittore.


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