Articolo pubblicato su Axe Magazine n.22 maggio 1998 Riff, ma quale riff... di Carlo Pasceri
Quando il nostro direttore ci ha comunicato che avremmo dovuto parlare di riff, tutti abbiamo cercato di ricordare, come per un riflesso condizionato, i gruppi rock più famosi per avere a disposizione materiale su cui lavorare. Niente di strano: il riff lo si associa al rock automaticamente, tanto che qualcuno lo identifica con esso. Ma ripensandoci forse non è proprio così, sarebbe riduttivo e si farebbe un cattivo servizio al rock e al riff. Per riff s’intende una frase, anche di una nota soltanto, di pochissime battute, ripetuta ostinatamente; ma se le cose stanno così allora di riff in giro ce ne sono più di quanto comunemente si creda e in “case” diverse dal rock. Prima di tutto cerchiamo di capire perché e come il riff ha avuto tanto successo. La ripetizione in musica è preponderante come in nessun’altra arte, (alcuni poeti hanno mutuato questa caratteristica e non a caso le loro poesie sono considerate molto “musicali”), e un riferimento è presente già in musica classica con il concetto del motivo conduttore (leitmotiv), un tema ricorrente usato per attirare l’attenzione dell’ascoltatore e non farlo “smarrire” nella composizione. È stato molto impiegato da R. Wagner (compositore tedesco 1813-83). Questa tecnica è parossisticamente sfruttata nei riff tanto che spesso l’attenzione dell’ascoltatore è catturata in quanto subisce in prima istanza la pesante reiterazione della cellula melodica-ritmica del riff, in un secondo tempo è confortato dalla prevedibilità dell’evento sonoro, quindi facilitato nel seguire il brano. Infine l’ascoltatore si abbandona all’incedere quasi ipnotico del riff. Non sempre e non a tutti accade questo, ma quante volte ci siamo lasciati coinvolgere? Il primo brano (di musica classica) che mi viene in mente che fa un uso estensivo e massiccio di questa tecnica è il famoso Bolero di M. Ravel (compositore francese 1875-1937) che guarda caso diventò uno dei pezzi più popolari del “900”. Per tornare ai nostri tempi, si può notare che la musica dance è spesso costruita su riff ossessivi, magari suonati dal basso o dalle tastiere, o dalla stessa chitarra, e infatti, a parte l’ovvia differenza stilistica e sonora, la funzione della dance a livello popolare e sociale non è poi tanto dissimile dall’amato rock: i mega rave party (sballerecci) di questi anni somigliano sempre di più ai grandi festival rock (ballerecci) degli anni “70”, l’accostamento potrebbe sembrare audace, ma se grattiamo la superfice… Parlando di riff si noterà una cosa piuttosto singolare: nei brani rock costruiti a colpi di riff quasi mai i soli sono suonati sopra i riff stessi! Pezzi famosi come Whole lotta love, Black night, Smoke on the water, Speed king, Purple haze, Black dog e molti altri, hanno in comune questa caratteristica. A differenza di quanto riscontrabile in altri generi musicali dove i soli sono suonati “contro” i riff, spesso l’unica variante del pezzo rock arriva proprio per il solo, quasi si volesse evitare il bel riffone! Si può anche notare che (generalmente) i riff rock sono più slegati dal contesto armonico e sembrano più spontanei e diretti rispetto ai riff più “armonici” composti per altri generi, però proprio per questa “gabbia armonica” a volte risultano meno incisivi, invece i riff più duri e pesanti del rock in virtù della loro minore connotazione armonica possono essere paradossalmente i più stimolanti per fungere da base per un solo. Negli anni 80/90 si osserva una certa riff-evoluzione ad opera di gruppi come Antrax, Metallica, Megadeth, King’s X, Living Color, anche i gruppi grunge come Soundgarden, Pearl Jam, Alice in chains hanno fatto la loro parte introducendo intervalli e progressioni meno scontate. Questo fa ben sperare per il futuro… Quindi tutti a casa con il distorsore inserito a riffare a palla magari non disdegnando di suonare, intendiamoci, sempre con il distorsore, qualche bel riff “insospettabile”. Chissà che non ci sorprenda!