Carlo Pasceri
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Libro Eroi Elettrici

Solismo Rock e Jazz: due realtà a confronto

2/9/2018

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Quel meraviglioso ed enorme vortice di onde di energia qual è la musica per me è stato sin da subito una specie di radar che mi ha aiutato a orientarmi nel mondo: mi segnalava i profili e i colori della realtà circostante. Divenne anche un sonar per scandagliare in profondità; di conseguenza ho vissuto. E così tuttora vivo.
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Talvolta nella mia testa l’eco della musica mi fa come intravedere nel buio la coda di un segreto sul punto di svelarsi, ma che gira l’angolo e sparisce, inafferrabile. Come un sogno che sta svanendo e che si cerchi di rammentare… Tuttora lo cerco.
E i sogni sono l’unica fase della nostra vita in cui stiamo perfettamente da soli senza alcuna connessione esterna; quel mondo parallelo in cui siamo immersi a occhi chiusi lo generiamo interamente solo noi. Chissà, la musica come un sogno?

Come tantissimi ho iniziato ad appassionarmi alla musica attraverso l’ascolto del Rock. E da aspirante chitarrista mi hanno subito stregato Carlos Santana, Jimi Hendrix e Jimmy Page.
Poi Frank Zappa e Robert Fripp; dopo ho seguito, con le orecchie spalancate e le dita sanguinanti e coi muscoli delle mani e degli avambracci in fiamme, tanti altri, compresi quelli più duri e metallici e pirotecnici come Van Halen, Joe Satriani ecc. Basilarmente li comprendevo.
Nel mentre si erano insinuati John McLaughlin e Al Di Meola; e con loro (e l’evoluzione di Santana e di Jeff Beck), mi sono appassionato al Jazz-Rock. In seguito, quasi di conseguenza, seppur un po’ titubante, mi sono avvicinato alla Fusion. Sono cominciati i guai...
Di là delle composizioni, non comprendevo un granché il linguaggio dei loro assoli; era spesso più complesso. Troppo.
Ma come è possibile? - mi chiedevo - le note sono così poche! 7 delle scale diatoniche (8 in verità) su 12 della Cromatica.
E va bene, noi ne usiamo 7 e magari loro tutte e 12, tutto qui? E allora anch’io uso la scala Cromatica!
Un disastro. Quel poco di senso che avevano i miei acerbi assoli, inesorabilmente si perdeva.

Poi ho saputo che quei musicisti provenivano dal Jazz, e allora ho cominciato, complice il film di Clint Estwood Bird su Charlie Parker, ad ascoltare e studiare il Jazz. Mi sono appassionato a questo genere.
Sì, ma la perplessità rimaneva, le note erano sempre quelle: come facevano ad avere quei fraseggi così ricchi? Certo, lo swing e il tocco, i suoni, ma non era solo questo; e tanto meno era una mera questione di quantità di note, nel Rock c’erano chitarristi che ne suonavano altrettante, ma non avevano neppure lontanamente quell’innegabile civiltà superiore.
Avevo ormai intuito che c’erano parecchie modulazioni, ossia cambi di tonalità, pertanto bisognava traslare rapidamente la scala regina, ciò sicuramente donava varietà, cambiava qualcosa, un po’ i contorni e i colori. Pensavo di aver capito, però non era solo questo…
Una gran fatica, anni di studio che finalmente mi hanno cominciato a far comprendere il mistero.

E per intenderlo insieme dobbiamo addentrarci ​un po’ nei meandri tecnici.
Dunque non l’addizione libera e brutale delle cinque note rimanenti rispetto a una scala diatonica (scala Cromatica) per ottenere tutta quella profusione melodica sempre sinuosa e iridescente che i jazzisti (e i loro parenti nella Fusion) manifestano con disinvoltura, ma, pur seguendo le modulazioni con i vari arpeggi melodici, è anche e soprattutto l’applicazione di differenti successioni di schemi scalari.
Ogni scala ha una sua caratteristica, offre un peculiare profilo melodico e quindi un colore unico; a volte del tutto diverso, altre simile tra loro, però mai uguale. Ciò è dato dal numero di note presenti nello spazio di un’ottava e dal loro posizionamento intervallatico, semplificando: quanti e dove sono posizionati i semitoni (se ci sono) rispetto alla tonica scalare e conseguentemente alla stratificazione armonica sottostante. È importante perché il moto semitonale è quello responsabile della sensazione di tensione-risoluzione/domanda-risposta.
Può essere tra terza/quarta e settima/ottava come la scala Ionica (Maggiore), o seconda/terza e quinta/sesta come la Eolia (Minore Naturale); o una via di mezzo tra le due come la Minore Melodica (seconda/terza – settima/ottava). Pertanto, relativamente alla loro collocazione, offrirà sensazioni a volte molto differenti, altre più sfumate, anche considerando che quasi sempre ci sarà una stratificazione con il resto (linea del basso, accordi tastiere ecc.). E siccome anche prendendo solo in considerazione il convenzionale diatonico abbiamo altre 18 possibili scelte di scale*, si comprende facilmente il grande potenziale fraseologico e quindi di linguaggio che ne derivi.

Quello stupefacente vortice di flussi di note caleidoscopiche che i jazzisti riversano sugli ascoltatori, quasi stordendoli, discende da questa sapienza e abilità tecnica.
Ecco, a volte quell’onirica coda di segreto che sparisce dietro l’angolo sono giunto a sfiorarla. Certe volte addirittura ad afferrarla. Ma lei si è sempre rigenerata, costringendomi a sognarla di nuovo e tentare di afferrarne un pezzo ogni giorno e ogni notte.
 

*Di solito i chitarristi rock ne usano molte meno, 2-3; ma usano l’arma (spesso quelli blues ne abusano) di una scala pentatonica (o l’esatonica “blues” col semitono di passaggio tra quarta/quinta). È molto pratica: con meno note e senza semitoni evita le forti scelte di tensioni-risoluzioni, rimanendo più in bilico. E allorquando la sequenza accordale modula, sovente è un ottimo rimedio per non incappare in indesiderate dissonanze. Insomma, seppur povera melodicamente (si sopperisce con lussureggianti suoni e acuto “strillare”) questa pentatonica è una formidabile facilitatrice melodico-armonica. 

Uno dei miei libri è dedicato agli Eroi Elettrici - I grandi solisti della chitarra.
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    Carlo Pasceri
    Chitarrista, compositore, insegnante di musica e scrittore.


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