Prima e meglio di lui c’è stato l’afroamericano Stix Hooper, batterista dei Crusaders, il primo di quelli che ha sistematicamente fuso il funk con il jazz (groove sincopato e scolpito insieme con la flessibile plasticità agile e più rotonda), ma soprattutto più direttamente discendente a livello stilistico c’è stato un altro nero prima di Gadd: Harvey Mason, che intorno al ’73 si mise in luce con il best seller di Hancock “Head Hunters”.
La "scuola" di Mason è stata immediatamente frequentata alla grande da moltissimi altri, pure bianchi americani come Andy Newmark e Mike Clark, e neri britannici come Steve Ferrone. Steve Gadd, pure essendo il più anziano tra questi, sembra sia arrivato un po’ dopo e un po’ peggio, al netto del suo enorme successo, beninteso.
In sintesi lo stile di Gadd, oltre a essere nel solco di quello generato da Mason (a sua volta discendente dai batteristi funk come Zyggy Modeliste e soprattutto da Hooper), è in sostanza imperniato su 3 cliché continuamente ripetuti: sarà questa la formula del successo? A giudicare dagli enormi risultati, pure di altri musicisti legati a pochissimi cliché e ossessivamente ribaditi, sembrerebbe proprio di sì.
I 3 cliché di Gadd per i quali è diventato famosissimo, anche in virtù di un’assegnata paternità di essi, sono in sostanza: fill sincopati, “incastri” di mini rullate a terzine/sestine con i colpi distribuiti sui vari elementi della batteria, e un accompagnamento pedissequamente sambato (serie di crome puntate e semicrome; o più correttamente trattandosi di percussioni, semicroma/pausa croma/semicroma). Ora, tralasciando quest’ultimo cliché, essendo quello suonato da Gadd stilema pari pari della Samba, gli altri due non sono invenzioni di Gadd; e, a rigore, nemmeno di Mason.
In particolare segnaliamo i pezzi (con i dettagli più significativi tra parentesi): Fermo al semaforo (accompagnamento con fraseggi a commento e dialogo), Sognando (fill sincopati iniziali), L’albero (l’iniziale “assolo” che ci sembra pure il prodromo di una "pagina nera" per i batteristi*, e un po’ per tutto il fantasioso accompagnamento), Non mi ritrovo, Interludio (sincopi e fraseggi obbligati con distribuzione sui vari elementi).
Bravo Tony, batterista "moderno" già nel ’72, non dovevamo aspettare Steve Gadd!
Tra l’altro, all’epoca, si sosteneva che Gadd, pur non essendo uno che faceva i numeri, cose complicate, veloci, tempi dispari ecc., a differenza di quelli che li facevano, e di tutti gli altri, era uno che teneva il tempo come un metronomo… Bè, assolutamente non è così.**
Poi se il suo modo di suonare sempre un po’ faticoso, certamente senza “drive” e indolente comunque piace, forse pure perché assuefatti dalle sue migliaia di registrazioni in dischi molto diffusi, e magari ci si è affezionati come a un rassicurante pelouche che non si vuol più accantonare, bè allora… Gadd se l’è goduta, va bene, se la gode, e forse se la godrà, però in ogni caso per noi un bel po’ di ridimensionamento se lo merita.
* Ringrazio Luca Fantauzzi per la segnalazione.
** Si ascolti ad esempio il disco di Lee Ritenour "Feel The Night" (1979) e in particolare il brano omonimo e "Wicked Wine". Ma anche il brano "Spain" di Al Jarreau contenuto in "This Time" (1980). Gadd era all'apice della sua carriera e queste sono tra le sue performance più famose e oltretutto nelle sue corde (né brani complicati, né jazzy, né live).