Carlo Pasceri
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Libro Eroi Elettrici

Miles Smiles: Davis rivisita il free

16/2/2017

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Il Jazz è difficile che piaccia perché dona pochi appigli su cui reggersi e “godere del panorama”. È perlopiù sfuggente, scivoloso; è un po’ come una musica voodoo, per iniziati.
Certamente c’è quello più popular, con declinazioni più semplici, meno arduo, ma in sostanza il discorso non cambia.
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Il meraviglioso quintetto di Miles Davis degli anni '60 con Wayne Shorter, Herbie Hancock, Tony Williams e Ron Carter fu (anche) una ingegnosa rivisitazione dei principi free di Ornette Coleman: alla fine degli anni 50, Coleman dette un grande impulso innovativo. Certamente fu uno di quelli che carezzarono poco l’orecchio dell’ascoltatore. 
E Davis non si fece sfuggire l’occasione di ampliare la sua tavolozza artistica: lui, geniale compositore che riusciva a indurre nuove prospettive sonore con appena qualche spunto da un qualsiasi materiale...
​
In particolare in Miles Smiles ritroviamo il Davis più colemaniano, dal grande sassofonista mutua il concetto di esporre temi rapidi e angolari senza armonie accordali: scarne composizioni basate su contrabbasso e batteria; qualche accordo solo per la waltz-ballad Circle e il blues minore Footprints. Fluente e quasi vorticosa meditazione con pochissime risposte per Circle, e festa carnevalesca con tracce afrocubane per le tante mutazioni metrico-rimiche imposte da Williams al riff in 6/4 di media-alta velocità di Footprints.
Sorrisi aspri: tanta velocità e tensione con Orbits, Dolores e Gingerbread Boy, sono i pezzi colemaniani basati su quasi nulla; solo le loro improvvisazioni melodiche e il marciare di Williams-Carter.
Freedom Jazz Dance è più amichevole, ha dalla sua il ritmo backbeat cassa-rullante quasi rock e qualche accordo durante i soli, che sono meno ellittici del solito. (Questo brano ispirò non poco Ian Carr dei Nucleus.)
Se è vero come è vero che la poetica di Davis fu sempre quella della sottrazione, del controllo dello spazio tramite un supremo controllo dei silenzi, del vuoto, quindi lontano dallo stile be-bop e hard-bop, in Miles Smiles anche se riprende alcune tematiche di quegli stili comunque le innesta, come in tutta la produzione del quintetto, con una logica misteriosa in quanto a funzionamento formale, con strutturazioni che sfuggono ai soliti schemi costitutivi (intro-AABA-coda ecc.).
Forse lui e i suoi compagni d’arme sorrisero non poco nel pensare alle espressioni facciali di quelli che avrebbero ascoltato queste loro gesta registrate.

Ancora oggi questo disco che compie mezzo secolo è poco accessibile ai più (come la maggior parte dei suoi album di quel periodo): ciò conferma quanto fossero avanti.


L'analisi di due capolavori di Miles Davis (Kind of Blue e Bitches Brew) sono incluse nel libro Dischi da leggere - Collezione n.1.​
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    Carlo Pasceri
    Chitarrista, compositore, insegnante di musica e scrittore.


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