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Libro Eroi Elettrici

Nefertiti, l'ultimo capolavoro del Davis acustico

16/1/2018

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Nefertiti di Miles Davis è il culmine della ricerca e sviluppo di un gruppo di musicisti fuoriclasse, è un’ascesa iniziata circa quattro anni prima, nel 1964. 
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I prodromi si ritrovano nel 1963, anno in cui Miles Davis, già star del Jazz, cominciò a coagulare intorno a sé risorse umane, e quindi idee, nel disco Seven Steps To Heaven; tuttavia mancava il tassello più importante a livello compositivo, il sassofonista Wayne Shorter, Herbie Hancock (pianoforte), Ron Carter (contrabbasso) e Tony Williams (batteria) insieme con Shorter furono messi insieme dal più grande “vampiro” e ricostruttore musicale: Miles Davis. 
Formidabile recettore di tutti i segnali musicali, anche i più deboli, sceglie accuratamente le risorse cui attingere, operando a più livelli, assembla, e talvolta ruba, tutto ciò che ritiene utile per realizzare la SUA musica.
Pertanto Davis fu un grandissimo compositore musicale nell’accezione più ampia del termine, non tanto quello tradizionale, con penna e pentagramma in mano a vergare segni che poi saranno interpretati e tradotti in musica dai suoi collaboratori, quanto il contrario. Ebbe costantemente il progetto di realizzare musica inaudita, elaborando continuamente tattiche per riuscirci. E lo ha fatto tantissime volte, per nostra fortuna…

​Nel mondo jazz quegli anni erano percorsi da due correnti musicali principali, vitali. C’erano due spinte di potenza simile ma di natura contraria: il dirompente free jazz e il rassicurante R&B/soul. Il primo impattava in modo violento e iconoclasta, l’altro col coinvolgimento canterino e danzereccio. Ornette Coleman e i suoi seguaci da una parte, e dall’altra tutta la filiera agglutinatasi principalmente nell’etichetta Blue Note, che sfornava soprattutto in quell'epoca musica jazz di facile presa, con riff e ritmi “giovanili”, disimpegnati.
Davis e i suoi alfieri hanno fuso queste due componenti forgiando degli organismi musicali evolutissimi, e Nefertiti fu l’ultimo e il più peculiare senza la componente elettrica: di questa, successivamente, Davis non ne farà più a meno.

Il disco, sei brani, nessuno formalmente composto da Davis, principia con l’omonimo pezzo Nefertiti di Shorter: tempo medio, sostenuto, ma la melodia è larga, come scorresse più lenta, inizia solo il sax tenore, poi si aggiunge la tromba. Sedici misure di tema che si ripetono circolarmente senza altro aggiungere, senza assoli, senza sussulti, appena dinamico. Subito punteggiato da un agilissimo basso, e in lento crescendo dalla batteria, che fraseggia alzando la temperatura. Le armonie accordali differenti per ogni misura e in sostanza tutte di radice maggiore, offrono così un ulteriore particolare sfondo scenico. Quasi otto minuti in questa maniera (a 6’30 pausa del tema per un chorus, poi riprende per una volta e termina): inaudita musica, vorticosa e ipnotica.
​Fall (Shorter), ballad a medio tempo, tanto semplice quanto meravigliosa. È fondata su una forma ortodossa AABA, ma ogni sezione è di sole quattro misure, inoltre la melodia (esposta dal sax e ripresa dalla tromba solo in alcune precise parti) è lenta e sempre crescente fino al culmine dell’ultima misura ove arriva al picco, per poi disegnare velocemente un arco discendente, per cadere sulla nota più bassa della battuta successiva che è la prima della sezione e quindi riprendere instancabilmente la salita. Invariabilmente salita e caduta, con Miles protagonista che sin da subito improvvisa stupende variazioni melodiche, riprendendo la melodia solo nell’accelerazione dell’arco del finale sezioni: specie di responsorio salmodico. A 2’20” assolo di Hancock senza melodia, con a 2’43” un accenno di raddoppio velocità tempo di Williams, Hancock lo segue swingando per pochissimi secondi, ma a 2’52” rientra parte della melodia… A 3’54” improvvisazione di Shorter, con Miles che sullo sfondo esegue il tema con la sordina, e Shorter riprende, variando l’armonizzazione. E poi ancora tema, Carter sembra prendere una sorta di assolo, Williams con le spazzole, raddoppia la sua pulsazione, spingendo… ma il brano si sta estinguendo e sfuma naturalmente nel silenzio.
Hand Jive (Williams), tempo medio-veloce tema (tromba e sax) multi modale di 18 misure con mini frasi a ondate, larghe e con molte pause, esposto due volte, segue lungo assolo di Davis senza accordi di piano e struttura libera; poi quello di Shorter, sempre solo con basso e batteria; crudezza. Succede Hancock, anche lui senza accordi, su un registro medio-alto, come soltanto con la mano destra. A 7’47” gli “scappa” un accordo, poi altri due: forse il segnale per la ripresa del tema, che avviene a 8’, reiterazione e codina finale.
Madness (Hancock) veloce brano con breve parte scritta: impressionante la sua metamorfosi, prima addirittura una valzer-ballad (prove pubblicate in un cofanetto dedicato al quintetto)… Si apre con un motivo tematico (fiati) in stile post hard-bop, con sincopate risposte unisono della ritmica (piano-basso-batteria), a 7” loro ostinato ritmico martellante su un accordo cui segue a 10” frasetta discendente dei fiati, con risposta pentatonica, e via con gli assoli. Miles supportato solo da basso e batteria, sensazioni “free”; segue Shorter, e subito sullo sfondo qualche accordo di piano. A 4’50” un significativo cambio di scenario: calo dinamico, basso pulsa velocemente una nota, ma in rallentando, la batteria praticamente si ferma, esce Shorter ed entra l’assolo di Hancock. Si modula su altri accordi, la ritmica dialoga con Hancock, a 5’10” sembra riprendere la corsa, no; ancora dialoghi, piccoli stop and go. Solo a 6’05” si riprende realmente la corsa, per poi arrivare alla riesposizione del tema iniziale e terminare.
Riot (Hancock), tre minuti quasi tutti d’improvvisazione, è costituito da 17 secondi di 17 misure di un rapido e composito tema che ha frase unisono basso-piano per le prime quattro misure, poi motivo coi fiati per altre cinque, a 9” sospensione con tre misure in 3/4 di tre accordi che sfocia a 11” in una quarta di 4/4 di connessione per la ripresa a 12” della “testa” del pezzo con le quattro di frase unisono basso-piano. A 18” improvvisazioni modali, brevi e di carattere vagamente spagnoleggiante; inizia Shorter, segue Davis, e termina Hancock. A 2’34” mentre improvvisa Hancock s’inserisce la riesposizione del tema, però spezzato: riprende dalla quinta battuta, è la parte coi fiati, elide le prime quattro di unisono basso e piano. Giungendo in fondo, per il finale, si struttura una coda che replica le ultime quattro (che sono d’altronde, come le prime, elise di basso e batteria).
L’opera termina con il pezzo medio-veloce Pinocchio (Shorter). È strutturato similmente a Hand Jive, tema minimo (insieme tromba e sax), poco più di ghirigori intorno alle note finali con sequenza armonica (di accordi di dominante) molto cromatica, prima discendente e poi ascendente, nelle ultime battute si assesta calmandosi un poco, terminando quasi dissolvendosi in due misure che si aggiungono alle canoniche 16. Così è perciò un’unica sezione di 18 battute ma replicata, esponendo la struttura quattro volte, dunque alquanto circolare. A quasi un minuto e mezzo iniziano le improvvisazioni (su struttura differente dal tema), comincia Davis, breve, ripresa tema, solo di Shorter, ripresa tema, solo di Hancock e, a 4’30”, ultima ripresa tema con codina finale.
Nefertiti ci restituisce un Carter “puntualissimo” e più agile che mai, coadiuvando il mobilissimo Williams, che ora lieve ora incisivo, ora lineare ora contorto sembra far danzare il tempo, lo segna con suoi strani cronometri, a volte genera nubi di suoni in cui perdersi… E invece ci galleggiano perfettamente gli illuminanti solismi di Davis, Shorter e Hancock, che sembrano volti alla ricerca di nuovi percorsi, liberi dalle gabbie armoniche e dal “vecchio” swing, sinuosi o sospesi che siano, sono lì a sintetizzare nuovi approcci all’assetto improvvisativo.
​
Nefertiti preconizza con un’eleganza inarrivabile il futuro, musica con nuove forme di progettualità e libertà, meno radicali e iconoclaste rispetto a quella del free e meno povere in fatto di linguaggio dell’hard-bop che si stava amalgamando col soul-rhythm and blues, ma ben più creative. Collisione artistica, coll’allora presente e passato, con crudezza calcolata, sofisticata da talenti immensi, che ancor oggi desta sensazione di modernità, ma non tanto perché qualcuno abbia reso attuale quello stile riprendendolo oggi, quanto, al contrario, perché ancora inusitato. 


Per la collana Dischi da leggere ho analizzato due capolavori di Miles Davis. Sono inclusi nel libro Dischi da leggere - Collezione n.1.
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    Carlo Pasceri
    Chitarrista, compositore, insegnante di musica e scrittore.


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