I macro elementi sostanziali della sua strana avanguardia erano Blues arcaico e rapido e sinuoso be-bop parkeriano denso di unisoni, senza però il pianoforte con le sue limitanti armonie temperate, pertanto senza giri armonici (i chorus) e quindi senza relazioni ad accordi, arpeggi, cadenze e sequenze che fino ad allora erano stati il riferimento massimo per i jazzisti. Tuttavia sia le forme usate (AABA ecc.) sia la pulsazione temporale erano convenzionali (ma non le strutturazioni interne del numero di misure che sovente erano diverse dalle solite otto).
Coleman ha miscelato stravaganti melodie, allegre e saltellanti, a tumultuosi conflitti strumentali, deflagrazioni che i titoli dei suoi dischi sono ancora lì a mo’ di manifesto che avverte: Tomorrow Is the Question! · The Shape of Jazz to Come · Change of the Century · This Is Our Music · Free Jazz: A Collective Improvisation.
La sua musica è spesso rapida, e lui a volte col suono oltraggioso e sguaiato del suo sax di plastica, lirico e straziante o velocissimamente balbuziente tra i registri frequenziali (prediligendo comunque quello medio-alto).
Un po’ circense, un po’ punkettaro, un po’ atonale schonberghiano comunque volto a una fluente libertà armonica e melodica, ma non a quella ritmica, infatti, la regolare pulsazione la mantenne anche quando, per mischiare ulteriormente le carte, nel 1960 convocò in studio per lo storico disco Free Jazz due quartetti (due batteristi, due contrabbassisti e quattro fiati) e li fece suonare contemporaneamente: un formidabile “flusso di coscienza” solistico a cui l’astrattismo formale della copertina, che riproduceva un dipinto di Jackson Pollock, voleva forse figuratamente dare conto.
Coleman nel 1972 con Skies of America mise a frutto uno dei suoi più grandiosi e ambiziosi progetti: unire le sue composizioni basate sulla sua misteriosa concezione armolodica della musica con un’orchestra sinfonica. Fu uno dei suoi pochi successi. In seguito nei suoi gruppi (Prime Time) adottò strumenti elettrici, compresa la chitarra, e complessi ritmi sincopati, a suo modo, funkeggianti (Jerry Garcia fu ospite in Virgin Beauty del 1988).
Ornette Coleman, in bilico tra mezze pagliacciate provocatorie e serissimo ingegno, tra altrui derisioni e devozioni, scherno e ammirazione, fu tra i protagonisti innovatori della musica del XX secolo.