Pochi secondi dopo s’innesta un’obliqua frase melodica di moderno linguaggio jazz lunga 6/4 all'unisono tastiere e chitarra elettrica con il basso elettrico che si unisce nelle ultime 2 battute, lanciando ancor più potentemente l’ultima lunga e sostenuta nota, preludio di questo breve brano ma incalzante di tempo sostenuto a oltre 140 bpm. Lenny White (anch’esso presente nelle sessioni dell’epocale Bitches Brew di Davis) appena dopo aver caricato una breve mitragliata sul rullante, prende un ritmo rock 4/4 (10”).
A 14” entra l’aggressivo tema composto di rapide e brevissime frasette inframezzate da pause e note lunghe (e un’isolata battuta di 2/4 a 18” che sorprende un po’ l’attacco successivo), si prosegue fino a 34” ove entra un ponte di transizione quasi epico, che porta alla seconda parte meno serrata, quasi felpata pure con un tempo appena più lento; ma dura solo due battute perché una nuova frustata a 46”del tutti all'unisono con scansioni delle note molto veloci e asimmetriche compresa la batteria, precede la ripresa del tema come da capo a 50”.
Poco più di tre minuti | È un momento magnifico, sorprendente, aggressivo e improvviso anche perché composto di 2 mini-moduli uguali di 5/8 (sub divisi ancora dispari 7/16+3/16), e altri 2 variati. Ripete uguale come da 14” fino a 1’18” ove riappare quel ponte che però ora è più lungo e articolato, e porta a 1’42” finalmente a un rilascio della tensione fino a qui accumulata; ma è solo un momento; la chitarra di Connors mediante una frase scalare ascendente si arrampica sulle armonie del piano elettrico esposte in una sequenza di due battute 4/4. Inizia il suo assolo. Ma subito basso e batteria caricano accenti sincopati in forte crescendo che però a 1’56” si smorza. Connors prosegue con la sua improvvisazione; e ancora pochissimo dura la quiete poiché già a 2’ tramite cambio di armonie decretato però dal basso di Clarke giacché la sequenza di Corea rimane la stessa, e marcato fortemente dalla ritmica che accentua fortemente: l’urgenza sale e a 2’07”, inizia una breve galoppata con Connors che lancia grida lancinanti alla maniera dei chitarristi di hard rock sotto una sequenza di accordi di piano elettrico. |
E a 2’40” entra una sezione nella quale si ripete una piccola porzione del tema iniziale, il mini-modulo che inizia della seconda battuta (16”); su questa base White risponde improvvisando delle belle frasi con la sua batteria, fino a un ponte che porta alla ripresa del tema iniziale a 2’58”. A 3’09” il colpo di coda basato sulla frustata dell’unisono a 46”, ripetuta e allungata con uno veloce e breve sviluppo di una frase ascendente che potrebbe essere presa da un brano di musica Classica dell’800: comunque di linguaggio diverso da quella dell’intro.
Sull’ultima nota dell’unisono del tutti la “piattata” di White è filtrata con un echoplex.
Uno dei brani più belli e brevi del genere Jazz Rock è terminato. Corea si è presentato così. È l’ingresso spettacolare di un grande compositore nel tempio della musica elettrica; quella super elettrica.
Poco più di tre minuti per introdurre nuovi appassionati o far capitolare anche il più scatenato seguace della nuova impegnata, difficile e complessa musica di quel tempo aureo: è una specie di riepilogo della musica strumentale fino allora prodotta, ma con alcuni elementi differenti.
Per esempio il basso elettrico che doppia tutte le difficili frasi del tema. L’asimmetricità della struttura e delle parti che si susseguono senza le ripetizioni di sezioni: assenza di un riff preponderante, senza ritmiche con metri dispari e senza assoli lunghi: addirittura qui quello presente non è del leader del gruppo nonché autore del brano stesso.
Da sottolineare che in assoluto Corea raramente ha composto brani con ritmiche aventi tempi complessi. E anche parte di quegli altri elementi un po’ fuori schema li manterrà per le altre sue opere, produrrà così delle musiche che arricchiranno il genere strumentale: proiettando una luce particolare illuminerà angoli meno esplorati fino allora, allargando ulteriormente gli spazi prospettici musicali già enormi del Jazz Rock.
Di solito ciò è prerogativa dei grandi compositori, è quello che intanto aveva fatto McLaughlin e che continuerà a fare; e soprattutto da questo tempo in poi (’73) Josef Zawinul insieme con Wayne Shorter con i Weather Report daranno un altro impulso fondamentale per lo sviluppo della musica.
A margine un’annotazione importante: il mix del brano non è stereofonico, sostanzialmente è in mono! Solo l’assolo di Connors e l’iniziale “vento” lo sono. Ciò è molto strano giacché tutti gli altri brani del disco non hanno questa “caratteristica”, improbabile sia frutto di una scelta, si può ipotizzare qualche errore nel premissaggio dei nastri master dell’epoca, poi nella sovraincisione dell’assolo e del “vento” iniziale, li hanno addirittura fatti rimbalzare da destra a sinistra come per compensare il centrale grumo statico spaziale di tutto il resto.