Solidificazione appena progressista perpetrata nella prima metà dei ’70 da bravissimi alfieri del rock-blues (J. Winter, R. Gallagher, H. Mandel e D. Allman su tutti), e poco dopo l’avvenuta agonia in termini di creatività (e successo), definitiva imbalsamazione dai primi ’80 fino ad oggi tramite il boom restauratore di Stevie Ray Vaughan (quello meno ricco di tutti in fatto di linguaggio e varietà di tecniche adottate ma molto spettacolare e quindi incisivo).
Succintamente, ancora nei ’50 con il rock&roll c’erano chitarristi (Scotty Moore, Cliff Gallup e altri) che suonavano ben più di quelle cinque note in croce in maniera strillata e contorcente alla SRV e simili. Pure nel Blues c’erano chitarristi, T. Bone Walker su tutti (anche il meno noto Elmore James) e discendenti come lo stesso B.B. King prima maniera e il texano Clarence “Gatemouth” Brown, che avevano un linguaggio più fecondo di quello che a oggi, fine 2016, la stragrande maggioranza è abituata ad ascoltare e riconoscere come “vero” Blues. E basterebbe prestare attenzione anche ai loro collaboratori di allora (per esempio armonicisti e sassofonisti) quando andavano in assolo: erano comunque una costola del Jazz; pezzetto sì, ma sempre dello stesso corpo.
Infatti, il Blues jazzistico, quello di quasi un secolo fa, che non era innaturale innesto tra due generi ma frutto d’idiomi intimamente legati sin dalla nascita, condivideva alcuni padri fondatori e i loro figli e nipoti (in special modo trombettisti da W. C. Handy, King Oliver e L. Armstrong al moderno W. Marsalis), aveva una ricchezza di linguaggio sconosciuta ai chitarristi di oggi e di ieri… E ai loro appassionatissimi ascoltatori: tanto avvinti quanto conservatori del vernacolo vecchio di mezzo secolo, appena aumentato rispetto a M. Waters e compagnia bella.
Tutti i fan del Blues, che però sembrano non conoscere perfettamentele matrici e la storia del loro amatissimo genere, incensano oggi i figli chitarroidi dei restauratori e disprezzano i tentativi di riprendere l’antico cammino evolutivo; figurarsi d’innovazione. Peccato mortale.