Per contrappeso, oltre alla sofisticatezza ritmica, hanno un ancor più sofisticato sistema per melodizzare.
Lo abbiamo intuito tutti.
Da questa sono estratte le scale cosiddette diatoniche (Maggiore, Minore, Dorica ecc.), e altre come la scala Pentatonica, Diminuita, Esatonale ecc.
Dunque le note “giuste” sono precisamente determinate, come per alcuni strumenti tipo l’organo, il pianoforte, il vibrafono e così via; in parte anche per gli strumenti tipo la chitarra. Gli archi, come il violino, il contrabbasso ecc., no. Va da sé che negli strumenti a fiato, pur avendo sistemi che permettono di scegliere le altezze, l’intonazione dipende dall’emissione energetica con l’apparato fonatorio; un po’ come per chi canta.
Nel sistema indiano lo spazio di ottava è diviso in 22 intervalli, e 24 in quello arabo “moderno”; dunque le loro “scale cromatiche” prevedono differenziazioni di altezze (note) ben più sottili delle nostre.
Tuttavia, ci sono cose che coincidono con le nostre: le loro scale sono eptatoniche, cioè come le nostre diatoniche lo spazio di ottava è divisa in 7 intervalli (8 note).
Però, al netto che sono basate non sul temperamento equabile ma su una divisione simile a quella adottata da Gioseffo Zarlino circa mezzo millennio fa (detta Naturale* o di giusta intonazione) pure essa di 22 intervalli frequenziali (quindi d'intonazioni leggermente difformi dalla nostra odierna), tutte le note in più che hanno le scale indiane e arabe non sono escluse, ma incluse tra le note principali della scala eptatonica.
In altre parole, è come se tra il nostro Do e Re oltre al Do# (chiamato anche Reb) ce ne fosse un’altra o due, e tutte queste (tra Do e Re) possano esser suonate (e non come da noi vietate, o quasi, dal post Sei-Settecento), non sono “fuori tonalità”, ma dentro. Comunemente si dice siano quarti di tono (metà dei semitoni), ma per vari motivi non è così, è un’approssimazione.
Quindi ecco che i sistemi indiano e arabo (e in generale quello medio orientale) permettono molte più intonazioni melodiche, inflessioni più o meno rapide che noi chiamiamo anche melismi o ornamenti.
Dunque sia la Pitagorica sia la Zarliniana (mutuata da Tolomeo, altro greco del II secolo), hanno parecchio in comune con le indiane e le arabe.
I melismi dei bizantini dell’Anatolia del primissimo (e successivo) Medioevo** che quindi erano dell’Impero Romano d’Oriente, sono stati assimilati nei primi canti occidentali, poi a mano a mano resi meno “bizantini”, infatti, il canto gregoriano è più lineare, meno mobile del precedente ambrosiano sulle singole note.
Riassumendo, la scala Pitagorica è divisa in 21 intervalli, la Zarliniana in 22, il sistema indiano in 22, quello arabo in 24.
La Pitagorica è l’unica che, similarmente alla nostra Cromatica, tra Mi e Fa e Si e Do non ha alcun intervallo; ne ha 3 sia tra il Fa e il Sol sia tra il La e il Si, 2 per le restanti note.
La Zarliniana ha 2 intervalli tra tutte e 7 le note, per esempio tra Do e Re ci sono distintamente il Do# e il Reb, come tra Mi e Fa ci sono distintamente Mi# e Fab; infatti nella nostra musica pre Sei-Settecento si distinguevano queste note, intonandole.
In alcuni casi, per esempio per il grande Georg Friedrich Händel (1685-1759), sono stati costruiti strumenti a tastiera con molti più tasti per riuscire a intonarle anche con questa tipologia di strumenti.
Direttamente ne discende che il nostro odierno sentire intonate o stonate le note è alquanto relativo, abbiamo un’esperienza e quindi una sensibilità piuttosto ridotte***.
Altresì nel Novecento si è ampiamente diffuso in Occidente l’afroamericano Blues (e il Jazz): tra le principali caratteristiche ha non solo fraseggi che prevedono vari glissati tra le note temperate, ma zone d’intonazioni variabili (micro-inflessioni di altezze) che coincidono con le scale suddette. Come d’altronde le alterazioni d’intonazione mediante micro intervalli e glissati della Classica contemporanea, trascendendo il sistema temperato.
Insomma, senza arrivare allo smodato uso odierno dell’auto tune nella trap e dintorni (ma in fondo perché no), i punti di contatto tra la nostra musica, a partire da quell’arcaica fino al Sei-Settecento, per poi (in maniera differente) riprendere nel Novecento, e quelle di altri continenti e culture, sono significativi.
* L’aggettivo naturale deriva dal corretto concetto che i suoni generati dai rapporti (più semplici) tra numeri interi sono i più armonici ossia i più consonanti; non dagli armonici ossia quelle note addizionali che si sviluppano insieme con la fondamentale, che ancora si dovevano scoprire.
** I turchi hanno un sistema diviso in 24 intervalli, e si presume sia stato influenzato da quello arabo, per vicinanza geografica e connessioni storiche. D’altra parte in Spagna ancora oggi si sente l’influenza araba.
*** Il pianoforte, che è considerato il re degli strumenti cui peraltro comunemente ci si riferisce per intonarsi, è uno strumento complessivamente già all’origine stonato, sia rispetto al temperamento equabile sia al sistema pitagorico e zarliniano: per cause strutturali la sua accordatura è frutto di vari compromessi in tal senso.
Per approfondire gli argomenti:
Roberto Perinu : La musica indiana. I fondamenti teorici e le pratiche vocali e strumentali attraverso i tempi (Zanibon)
Pietro Righini: La musica araba nell'ambiente, nella storia e le sue basi tecniche (Zanibon)
Pietro Righini: Le Scale Musicali (Zanibon)
Stuart Isacoff: Temperamento (EDT)