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Libro Eroi Elettrici

Joni Mitchell e il suo addio a Charles Mingus

8/6/2020

8 Comments

 
Non è difficile sostenere che Joni Mitchell, cantautrice (chitarrista e pianista), sia stata un’importante artista musicale. E lei ha reso omaggio a un colosso del Jazz, Charles Mingus, con un album pubblicato nel 1979 intitolato semplicemente Mingus. Un disco coraggioso che fu un fiasco commerciale; anche la critica giornalistica non fu munifica. 
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È il suo disco più jazz, peraltro non mainstream, e lei ha una voce e un cantato parecchio peculiari: forse le due cose insieme hanno reso il disco ancor meno assimilabile ai più.
La sua vocalità è molto distinguibile giacché, oltre a essere dotata di un registro da mezzosoprano (quindi piuttosto acuto, seppur negli anni sempre più abbassato), usava molto il falsetto e un ampio vibrato; molto intonata, tuttavia non molto dinamica e agogica (poche variazioni di intensità e ritmiche).
Però a Mingus arriviamoci per brevi tappe della sua carriera. 
Joni Mitchell ha iniziato sul finire degli anni Sessanta e si fece subito notare, vuoi anche per l’amicizia con David Crosby (successivamente si legò a Graham Nash). Ebbe subito un buon successo sia di pubblico sia di critica.
Già col terzo disco del 1970 Ladies Of The Canyon e ancor più col successivo Blue (’71) la Mitchell si poneva su quella spumeggiante onda di “progressive” folk-rock* capeggiata da Crosby e i suoi tre amici (Stills, Nash e Young), seguiti da James Taylor, Carole King e Laura Nyro (la più jazzy e quindi “metropolitana” e meno folk di tutti). E dall’altra parte dell’oceano si aggiunse l’inglese Joan Armatrading, altra eccellente artista di questa meravigliosa ondata di caleidoscopica musica al femminile (debutto discografico nel 1972).
La Mitchell proseguì nel ’72 con l’ottimo For the Roses, ed ecco che comincia a concretare un percorso più jazzy e pubblica nel gennaio del ’74 Court and Spark, facendosi accompagnare da musicisti di grande qualità provenienti dalla neonata area fusion come Joe Sample e Wilton Felder (metà dei Crusaders), Larry Carlton, John Guerin e Chuck Findley.
Poi è la volta del live Miles of Aisles (registrato ‘74, pubblicato ‘75) accompagnata dai L.A. Express, band fusion di Tom Scott (in cui militava il giovane Robben Ford), ove la Mitchell ripresenta parecchi pezzi dei primi dischi.
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Siamo ancora nel 1975 e la cantautrice pubblica il bellissimo The Hissing of Summer Lawns, che sviluppa il discorso fusion alla sua maniera (i musicisti sono un connubio tra quelli di Court e di Miles), Poi è la volta del celebre Hejira (1976), che vede tra l’altro in alcuni brani Jaco Pastorius al basso. L’anno successivo il più sperimentale dei suoi album: Don Juan's Reckless Daughter. Audace, a tratti entusiasmante. Un insuccesso anche di critica. ​
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​Ed eccoci giunti al 1979 con Mingus. Molte le particolarità di questo disco, sia formali che di sostanza.
Si tratta di solo sei brani, a questi sono alternati cinque brevi frammenti di dialoghi di Mingus con moglie e amici e un duetto di Joni con Charles. La Mitchell è l’autrice di tutti i testi e delle musiche di due. La gestazione fu lunga e laboriosa (con tutt’altri musicisti), pure con qualche disappunto di Mingus per la troppa elettricità che la Mitchell inseguiva. Tuttavia alla fine ha approvato tutti i pezzi, tranne God Must Be a Boogie Man che è stato scritto due giorni dopo la morte del grande jazzista.
Il disco a livello sonico è alquanto semplice, parecchio focalizzato: voce e chitarra, piano elettrico (Herbie Hancock), sax soprano (Wayne Shorter), basso (Jaco Pastorius) batteria (Peter Erskine) e percussioni (Don Alias ​​ed Emil Richards). Gli strumenti mai tutti presenti.
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Peter Erskine, Joni Mitchell, Jaco Pastorius e Herbie Hancock
I due brani scritti dalla Mitchell non sono jazzistici (e gli unici con la chitarra), God Must Be a Boogie Man è per voce, chitarra acustica e basso fretless. Una canzone a tempo medio-veloce, ovviamente con Pastorius contraltare alla melodia e agli accordi di Joni.
The Wolf That Lives in Lindsey è più particolare: lungo brano di voce e chitarra più, qua e là, congas (e ululati). Ampia melodia interpolata da interventi quasi molesti della chitarra che, con insistita violenza, strappa una nota bassa, dall’oscillante intonazione (sesta corda "allentata" addirittura fino al Do), alternata con armonici naturali.
Tutt’altra cosa A Chair in the Sky; brano medio lento col quartetto jazz, Hancock, Shorter, Pastorius ed Erskine. Complesse armonie e melodie, con Shorter che contrappunta nella tessitura medio-alta e Pastorius quella medio-bassa.
Storia piuttosto simile per Sweet Sucker Dance, poi diviene più ritmica e veloce, a tratti swing; termina con una coda su un ostinato di basso, quasi a voler finalmente ancorare l’ascoltatore che fino allora aveva parecchio vagato, probabilmente perdendosi.
The Dry Cleaner From DesMoines è un saltellante blues con tanto di sezione fiati (arrangiata da Pastorius). Confortevoli percorsi arciconosciuti.
Il disco si chiude con la magnifica ballata Goodbye Pork Pie Hat. Ancora schierato l’incantevole quartetto: superba la Mitchell, con Pastorius coprotagonista, che fornisce una stupenda esposizione melodica che peraltro si estende oltre al tema, cantando anche la prima, lunga, parte del bellissimo assolo di sax tenore presente nell’originale del 1959. La Mitchell qui come cantante si è superata, e ci ha donato una preziosa versione di questo immortale brano di Mingus.
Insomma, non si può certo affermare che, anche dopo oltre quarant’anni, sia un disco di normale fruizione, e questo è un pregio; significa che allora era abbastanza ardito e che ancor oggi mantiene quella carica “eversiva”, poco si è consumata, perlomeno nell’ambito del pubblico rock. È per i più un disco dai contorni incerti, sfuggente, similarmente all’astrazione del dipinto della stessa Mitchell rappresentato in copertina. Però in musica non sempre astrazione fa rima con decorazione e attrazione, più spesso con distrazione.
 
*Una particolare fusione tra la matrice basilare folk-rock ed elementi jazzy e classicheggianti.
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8 Comments
Luca Maggi
9/6/2020 02:00:07

Chiosando sul fatto che Mingus è il primo album di Joni Mitchell da me acquistato (nel 1979 ndr.) e soprassedendo sui risvolti sentimentali (poco credibili ndr.) ad esso legati: bellissimo articolo. Una curiosità: cosa pensi dei suoi album successivi? Ancora complimenti

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carlo pasceri
11/6/2020 05:39:04

Bentornato Luca e scusa il ritardo, ho letto solo ora...
Alcuni dischi sono molto belli, come Night Ride Home (e i successivi).
Non che i precedenti, quelli degli '80, siano brutti, anzi.
Apprezzo la ricerca di altre strade, in questo caso, come sai, un sofisticato Pop, solo che non ha equilibrato così tanto una scrittura compositiva più avanzata rispetto al contorno, alla forma molto convenzionale di questo genere. In effetti è risultata un po' fuori le sue acque territoriali.
Singolare il (relativamente) più recente progetto Both Sides Now, orchestrale con vecchi brani. Incantevole, con la sua voce quasi irriconoscibile, segnata dal tempo...
Non si può chiedere di più, ci ha davvero dato moltissimo questa gran signora della musica.
Grazie dell'intervento, torna a trovarmi.

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Massimiliano Brazzo
12/6/2020 03:37:57

Articolo eccellente (non che i precedenti siano da meno, sia chiaro). Trovo estremamente affascinante la linea che connette la Nyro, la Mitchell e la Lee Jones: tutte e tre nella ricerca di una fusione tra elementi jazzistici (e in alcuni casi pure Fusion, almeno nel caso delle ultime due), in una direttrice estremamente coerente e che sembra quasi quella di una singola artista (al netto delle pur notevoli peculiarità individuali che le caratterizzano e differenziano, e per fortuna !). Un po' di lato la Armatrading, pur con qualità non inferiore. Ne approfitto e ti chiedo: a tuo parere quali sono i dischi più significativi della Nyro ? Io ho particolare affezione per "New York Tendaberry" del 69, ma anche "Eli..." del 68 e "Christmas and the Beads of Sweat" del 70 li trovo notevolissimi.

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carlo pasceri
12/6/2020 06:47:32

Buongiorno Massimiliano, grazie del commento.
I dischi della Nyro che hai citato sono tutti significativi, però ritengo Christmas and the Beads of Sweat un gradino più su; come d'altronde il successivo Gonna Take a Miracle inferiore a tutti quelli precedenti.
A presto.

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Giaime Vettraino
13/6/2020 14:20:28

Caro Carlo,un articolo esaustivo e di questo disco cosa dire,seguo Joni dal 1974 e non l'ho più abbandonata.La sua produzione che val 1968 al 1980 ci ha donato delle vere "perle " da cui non si può prescindere,da Blue,The Hissing ,Hejira e la sua evoluzione artistica ha ben pochi riscontri nell'ambito della musica d'autore al femminile.Mingus,per quanto sia un disco a se,trovo sia meraviglioso e pur non essendo un musicista l'ho amato fin dal primo ascolto e l'ho subito assimilato e fatto mio.Buona giornata Carlo e grazie.

Reply
carlo pasceri
13/6/2020 15:37:30

Benvenuto Giaime,
e grazie a te per l'attenzione e il commento; mi fa molto piacere che l'articolo ti sia piaciuto.
Buon pomeriggio e a presto.

Reply
Merli Antonio
3/7/2022 10:53:12

Bell'articolo con delle considerazioni tecniche molto interessanti ,seguo questa meravigliosa Signora fin dagli inizi , il primo LP che ho comprato è Blue, nel panorama frizzante di quegli anni, lo trovo un lavoro riflessivo quasi intimo, Mingus mi ha colpito da subito le contaminazioni
che i vari artisti, tutti di grande livello, per quella miscela di tante sensibilità che hanno contribuito a questo lavoro a me particolarmente caro. Poi Lei la trovo meravigliosa come sempre , ma a tratti esplosiva ,rilassata e sicura insieme a tanti talenti come non mai . Grazie per questo articolo che sollecita ricordi e momenti straordinari.

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carlo pasceri
5/7/2022 08:20:24

Caro Antonio,
grazie a te per le tue considerazioni.
Torna a trovarmi presto.

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    Chitarrista, compositore, insegnante di musica e scrittore.


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