Carlo Pasceri
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Libro Eroi Elettrici

Crosby, Stills & Nash: primo capitolo di una splendida storia

29/5/2018

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L’eccentrico, lo strumentista e il “leggero”; l’esperto, il frontman e l’inglese. David Crosby, Stephen Stills e Graham Nash.
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Un triangolo strano, un rischioso accostamento di individualità (i brani sono in sostanza tutti firmati singolarmente) che appena dopo trovò un quarto lato (Neil Young) senza perdersi, anzi, un ulteriore punto che sarà cardinale per ampliare gli orizzonti del loro già principesco Rock. 
Chitarre (acustiche) e voci è il mainstream della musica americana, bianca, la condizione più folcloristica e meno bellicosa rappresentante per l’immaginario collettivo i pionieri loro antenati. CSN è la moderna incarnazione di ciò.
Quando si mettono insieme per il disco siamo tra il 1968 e il ’69, in piena epoca di peace & love, e dei gruppi, dei grandiosi raduni (Monterey da poco compiuto e Woodstock sta per giungere…). Loro già delle notevoli esperienze alle spalle, praticamente un supergruppo.
​
La missione era proseguire l’importante e bellissima esperienza dei Byrds e Buffalo Springfield, oltre gli inglesi Hollies, pertanto potenzialmente essere già ben oltre Bob Dylan, Jefferson Airplane e Simon & Garfunkel, tanto per citare tre totem dell’epoca. Ci riuscirono, per poco tempo, andarono ben oltre….
Una garbata (e non sempre presente) ritmica di basso e batteria con qua e là un organo appena accennato fanno da cornice e colore alla loro musica del debutto, che tanto ha influenzato anche famosissimi gruppi molto lontani dal loro stile, anzi, di altro genere, come i Led Zeppelin e i Genesis.
Qualcuno ha affermato che il lavoro di un uomo è il lento viaggio alla ricerca, mediante l’arte, di quelle due o tre immagini che per prime hanno aperto il cuore.
E la potente reminiscenza che loro mi suscitano, con la tanto rapida quanto inesorabile e pervasiva nostalgia che rimescola tutto, scalda il cuore; ma allo stesso tempo mi intima di tenere fresca la mente e non esagerare con iperboli. E quindi, che sia chiaro, dei dieci brani uno è semplicemente fuoriclasse: Guinnevere.
Un capolavoro tra i capolavori. Una romantica canzone che meriterebbe da sola un’accurata disamina...
Gli altri pezzi, in blocco, sono più che buoni; qualcuno meno, qualcun altro ottimo. Tuttavia quel che colpisce è che la superficie sonora li rende molto omogenei nel progetto compositivo del disco, che invece vede l’accostamento e l’amalgama di individualità e stili alquanto differenti. A ben ascoltare si apprezzano le differenze e contributi.
Comunque, manifesta eterogeneità già nel primo brano Suite: Judy Blue Eyes.
C’è un po’ di tutto, inizia bluesy, rapido, subito prosegue più “canzone”; poi a 2’50” metà tempo e più marcato ritmicamente e melodicamente, più modale. Dopo un paio di minuti solo qualche percussione e chitarre, accenno assolo di chitarra acustica, atmosfera esotica, orientale. Ancora interventi di cantato corale e poi finale con mischiato motivo melodico saltellante a più voci e una che si stacca e si sovrappone con declinazione latino-messicana (sorta di parafrasi di La Bamba).
Merita menzione particolare anche Wooden Ships (ripresa poi proprio dai Jefferson di Paul Kantner – uno degli autori del brano); un blues minore impreziosito, oltre che dal loro modo di suonare e cantare, dalla scelta delle note dei temi melodici e interventi solistici; poi stacchi e polifonie vocali. Avvicendamenti di cambi tempi con assoli e inserti vocali. Gemma.
Lady Of The Island un acustico e intimo bozzetto (ma non semplice) di Nash: notevole.
Il disco si conclude con l’eccentrico valzerino 49 Bye-Byes; un continuo avvicendamento con le rettilinee e più grintose parti in 4/4, ma accade sempre in modo così scorrevole che quasi non ce ne si accorge. E gradualmente tutto diventa più denso, si inacidisce un po’, e con variazioni e varianti aumenta il suo peso, distribuendolo in 4/4; termina in valzer quasi improvvisamente su una nota in feedback.
Si sa, esattamente mezzo secolo fa ci fu in Occidente una potente sommossa giovanile-studentesca, e sarà un caso, ma ci fu nel Rock e dintorni l’effervescenza musicale più notevole, creativa, a oggi insuperata.
E se in Europa per andare oltre una canzone di protesta/pace e amore su tre accordi strimpellati su una chitarra, si attinse soprattutto alla Classica, negli USA considerarono la loro giovanissima e in divenire tradizione, al Jazz. Per motivi di possibilità di accesso e di simbologia, si riferirono a quello modale, segnatamente a John Coltrane.

Jefferson Airplane, Grateful Dead, Santana e Allman Brother Band, citando alcuni tra i più famosi statunitensi, hanno in quel tempo compiuto ciò, Crosby e Stills, prima separatamente e poi insieme (a Nash e Young), hanno fornito un pregevolissimo contributo al Rock a fronte della loro capacità di sommarsi: nessun altro gruppo univa raffinate canzoni (che erano già oltre il folk/rock-blues) con digressioni para jazzistiche e sontuose polifonie corali; e questo disco è il primo capitolo di una breve ma splendida storia. 
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    Chitarrista, compositore, insegnante di musica e scrittore.


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