In un brano la modulazione è il cambiamento di tonalità, ossia la variazione della scala basamento della melodia e armonia correlate.
Può essere temporanea o permanente, cioè si può modulare ulteriormente andando a un’altra tonalità o ritornare a quella di partenza (o rimanere fino al termine del brano a quella raggiunta), per esempio da LA maggiore a MI maggiore e poi a SI minore o tornare a LA maggiore (o rimanere in MI maggiore).
Può essere “morbida” o “dura” ovvero si può andare da una tonalità a un’altra avente molte note in comune oppure molto poche (aggiuntivo gradiente di morbidezza e durezza è dato dalla lentezza o meno con cui si realizza la modulazione).
Altresì ci sono modulazioni raffinate ossia con sofisticati percorsi interpolativi di note, e quella rozza cioè la traslazione pari pari dell’impianto armonico (usata prevalentemente nel Pop, spesso ascendente per intensificare l’impatto emotivo, per esempio Sunny di Bobby Hebb (1966) **
Nel Medioevo, e per parecchi secoli a seguire, nella nostra musica Classica le modulazioni erano poche, lente e morbide. Progressivamente aumentarono in tutti questi fattori.
Una transizione importante ci fu nell’Ottocento, Wagner in primis, per giungere a cavallo col Novecento a un’accelerazione delle modulazioni e rapidamente a successive estremizzazioni, anche perché parallelamente ci fu la rivoluzione dodecafonico-seriale per opera di Arnold Schoenberg (cui ciò non è nemmeno contemplato), pertanto fornendo sensibilità e intellettualità fino allora inusitate e impensabili.
Contemporaneamente, nel primo Novecento, ci fu lo sviluppo del Jazz e del Blues, e da circa metà secolo in poi, dei loro derivati ancor più facili e ballerecci e quindi popolari del Rock'n'Roll, Rhythm and blues/Soul, Rock e via via fino all’odierna musica.
Una sostanziale differenziazione tra il Jazz e il Blues è proprio data dalle modulazioni e già in nuce (poi sempre di più, divaricando così maggiormente i due generi): nel Blues sono in pratica assenti mentre nel Jazz sono presenti, e aumentano molto nel corso dei decenni sia in quantità sia in qualità. Tra i più noti brani c’è Giant Steps di John Coltrane (1959): famigerato tour de force modulativo.
E, alquanto rapidamente, dopo la metà degli anni ’60 nel Rock si cercano nuove vie melodico-armoniche, pertanto si giunge a un uso più diffuso e sistematico delle modulazioni; e il ramo Progressive si distingue anche per ciò, facendo ricorso ancor più alla risorsa modulativa (non a caso questo genere è molto influenzato dalla Classica), pur non arrivando a impiegarla in modo quantitativo e qualitativo come il Jazz.
Dopo questa età aurea del Rock e dintorni, durata circa dieci anni, c’è una regressione.
Fatte salve le eccezioni si ritorna a motivi melodici che somigliano a filastrocche infantili, spesso con le aggravanti di non essere compensate da raffinate armonie (e ritmi) ed esecutori particolarmente bravi, anzi.
Insomma, l’evoluzione musicale passa pure attraverso questa strutturale invenzione musicale chiamata modulazione: i compositori di oggi e di domani dovrebbero rammentarlo.
* Da differente prospettiva ho esposto l’argomento qualche anno fa https://www.carlopasceri.it/blog/le-modulazioni-di-tonalita-e-un-celebre-caso-italiano
** A 1’01” da MI minore a FA minore, sale ancora a FA# minore a 1’31”, fino al SOL minore a 2’01”.