Estratto dell'articolo pubblicato su Axe Magazine n.83 e 84 dicembre 2003-gennaio 2004
Prog, una ministoria ragionata
di Carlo Pasceri
__Le origini
La vicenda del rock progressive è complessa e articolata poiché in quegli anni (dal 1968 fino alla metà degli anni settanta) ne sono successe di tutti i colori, e francamente abbiamo constatato un po’ di confusione storica e analisi superficiale anche in libri ad esso dedicati. Questo articolo non può (vista l’estensione) e non vuole essere esaustivo (nel senso di elencare tutti i gruppi progressive), ma vuole fare un po’ la “filologia” e gettare luce su quello che è stato il filone più ricco e completo della storia del rock. I gruppi erano nell’età aurea della creatività e della forma libera d’espressione. Ciò ha portato in primo luogo ad una pletora di gruppi (e dischi) fantastici e importantissimi provenienti dall’Europa e in particolar modo dall’Inghilterra, in secondo luogo ad un fenomeno musicale imponente e di difficile schematizzazione. Non è facile rintracciare come tutto sia nato, d’altronde già il termine progressivo potrebbe essere attribuito ai Cream, a Jimi Hendrix, agli Who, ma pure ai Led Zeppelin e così via; quindi per far chiarezza ci vuole una chiave che apra la porta e sbrogli la matassa. Addirittura c’è chi confonde il progressive con il jazz-rock, e se è vero come è vero che c’è stato sicuramente qualche gruppo (soprattutto italiano) che ha contaminato e pure fuso i due generi, questi hanno un’origine e delle specifiche caratteristiche a parte, seppur talvolta coincidenti. Con questo non voglio assolutamente mettere degli steccati o etichettare i gruppi, ma solo svolgere una funzione storico-filologica nell’ambito musicale, attraverso una ricerca e un’analisi che ha un valore di pura erudizione culturale che spero possa aumentare il gusto nell’ascolto: nessuno vieta di godere e fruire questo o quel gruppo in qualunque maniera a dispetto di qualsiasi etichetta! |
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_D’altra parte è superficiale, demagogico, qualunquistico ma soprattutto
errato, non riconoscere che ci sono spesso delle matrici e
caratteristiche diverse nei vari generi musicali; credo possa far
piacere sapere da dove hanno origine e magari comprendere le differenze.
Solitamente si è portati a pensare al progressive come ad uno stile complesso fatto di brani spesso molto lunghi, chiamati solitamente suite, con repentini cambi d’atmosfera e di ritmi (a volte irregolari e/o composti), realizzato con sonorità di flauti, organo e mellotron (strumento a tastiera che imitava violini, voci e quant’altro, una sorta di proto-campionatore); quindi con meno ribalta per la chitarra (strumento per eccellenza del rock), testi favolistici e surreali, comunque impegnativi. |
_È tutto vero ma non è solo questo, anzi queste coordinate di massima a volte sono da una parte restrittive mentre dall’altra possono generare confusione.
I Beatles sono stati importantissimi anche in questo, sia in senso attivo sia in quello passivo. Bisogna considerare che intorno al 1967 i quattro di Liverpool erano al vertice della popolarità, erano molto seguiti ed influenti e essi stessi quindi stavano cercando nuove vie. I risultati in quel 1967 sono gli album “Sgt. Pepper’s Lonely Hearts Club Band” e “Magical Mistery Tour”. In questi due bellissimi dischi ci sono chiaramente dei brani che sono “progressivi”, che vanno al di là degli standard che loro stessi avevano in massima parte contribuito a fissare per quanto riguardava il pop-rock: “A Day In The Life”, “Magical Mistery Tour”, “Blue Jay Way” e “I Am The Walrus”. Tra l’altro in “Strawberry Fields Forever” abbiamo in assoluto il primo uso di mellotron. Nel 1968 con il successivo e stupendo doppio omonimo (l’album bianco), hanno confermato questa tendenza, un pezzo su tutti: “Revolution 9”. Questo brano è pura avanguardia, con loop, pezzi orchestrali, voci, suoni e casualità di ogni genere, ma la potenza di questo pezzo è il messaggio di sperimentazione e la voglia di trovare nuove vie d’espressione. |
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_Non è il primo del genere in ambito rock, Frank Zappa ha dedicato gran parte di un suo disco del 1967 (“Lumpy Gravy”), all’”organizzazione rumoristica”; sempre in quell’anno aveva registrato “Absolutely Free” e quasi tutta la prima facciata del disco (che è un capolavoro), da “The Duke Of Prunes” a “Invocation And Ritual Dance Of The Young Punking”, è destinata a far “progredire” il rock: ovviamente alla sua maniera!
D’altronde Zappa nel precedente album “Freak Out” del 1966 si era già spinto in avanti con “Who Are The Brain Police?” e le ipnotico-contemporindustriali-baccanali “Help I’m A Rock” e “The Return Of The Son Of Monster Magnet”. E con il doppio “Uncle Meat” ha pure ipotecato la paternità di moltissime caratteristiche dell’ambito jazz-rock, considerando le perle “The Legend Of The Golden Arches” e “Prelude To King Kong”. |
_Sempre negli Stati Uniti ma nel 1967 troviamo i Red Crayola che con l'interessante disco “Parable of Arable Land” avevano fatto un bel po’ di rumore (in tutti i sensi), avendo addirittura venduto più di 30.000 copie di quel pazzo lavoro. Ma prima di loro i Fugs (sempre americani) hanno inserito un brano sconvolgente di oltre 11’ chiamato “Virgin Forest”, nel disco di rock quasi convenzionale “The Fugs Second Album” del 1966.
Questa brevissima disamina dell’arte rumoristica è per meglio inquadrare l’importantissimo e fondamentale momento storico di sviluppo ed evoluzione del rock, ribollente di adolescenziali pulsioni creative che in seguito portarono il genere alla sua fase adulta. |
_"La formula della canzone strofa-strofa-ritornello-strofa, doveva essere in ogni caso superata!" |
_Mondi Nuovi
Quindi i nuovi alfieri musicali inglesi cercarono di far propria anche quel tipo d’esperienza materico-musicale innovativa e portare il rock a un livello diverso di fruizione: non più solo mero intrattenimento ma pure e soprattutto momento culturale per crescere e affermare la musica come un’arte non più “povera”, disimpegnata e ballabile. La formula della canzone strofa-strofa-ritornello-strofa, doveva essere in ogni caso superata! Questi artisti volevano creare mondi fantastici o fantascientifici, a volte magici oppure semplicemente d’altri tempi, in ogni caso affascinanti e mitici. Bramavano d’andare oltre il quotidiano e il banale sia attraverso la musica sia per mezzo dei testi; anzi volevano più possibile ottenere una fusione che fosse un’arte completa e degna di tale nome. La loro urgenza espressiva si può riassumere in ciò, mentre il mezzo per ottenere quello che si proponevano richiedeva uno sforzo titanico, mai fatto prima da nessuno; purtroppo mai fatto da altri dopo di loro. |
_La definizione
La caratteristica che unisce i gruppi progressive è quindi la tendenza a creare questi nuovi mondi, di conseguenza ad estendere e sviluppare l’esperienza beatlesiana (tout court) e non legarsi alla musica americana imperante dell’epoca, vale a dire al r&b, al soul, alla canzone melodica e successivamente al funk, o a matrici (afro-americane) come il blues e il jazz. Quindi i gruppi prog attingono dalla matrice classica europea, realizzando così una musica più “verticale” e stratificata melodicamente, armonicamente e ritmicamente (le varie parti musicali suonate contemporaneamente da vari strumenti), quindi sinfonica e meno “americana”. Riassumendo, si è andati ben oltre il mettere una melodia sopra a un giro di accordi e trascinando il tutto con un ritmo che (alquanto invariabilmente) marca il tempo: i pezzi prog non si possono suonare con due chitarre sulla spiaggia, “comunicano” ad un livello meno epidermico e quindi di più difficile assorbimento. Forse pure per questo l’epoca d’oro del prog e dei suoi gruppi fondamentali è durata così poco (circa un lustro, dal ‘69 al ‘73). Naturalmente tutti hanno imparato pure attraverso gli insegnamenti della basilare scuola americana. Solo cercando di superare i Beatles, senza rinnegarli né tornare indietro e fare del r&r o r&b, questi giovani musicisti potevano sperare d’ottenere uno spazio vitale che permettesse loro un’espressione creativa e artistica; e magari conseguire la notorietà e il successo. D’altronde gli stessi Beatles avevano operato in questo modo: prima hanno masticato il r&r e il r&b e poi hanno condensato il tutto alla loro splendida maniera. La chiave è questa, altrimenti come già accennato, perché non inserire una moltitudine di gruppi nel calderone progressive? Tutti avevano una caratteristica musicale “progredente” rispetto al passato, dai Cream a Hendrix passando per i Grateful Dead. Da notare che in sostanza in tutte le opere prime, o opere “zero” cioè eventuali precedenti dischi realizzati magari con altri musicisti e non pubblicati all’epoca, dei maggiori gruppi del progressive, si riscontra in maniera più evidente e diretta l’influenza dei Beatles. |
_"I gruppi prog attingono dalla matrice classica europea, realizzando così una musica più “verticale” e stratificata melodicamente, armonicamente e ritmicamente..." |
_"La ricetta dei King Crimson è buona e il risultato gustosissimo, ma gli ingredienti sono banali e certamente non progressive" |
_Il caso KC
Siamo arrivati ai King Crimson che sono partiti nel 1969 con l’ottimo “In The Court Of Crimson King”. Ebbene anche se sono passati e passano ancora per alfieri del prog, tra quelli che hanno addirittura definito le coordinate del progressive, sono i meno progressivi. Infatti è il gruppo che, considerati soprattutto i primi due dischi, è il più legato alla forma canzone più lineare e semplice. Sì, ci sono assoli di flauto e c’è il mellotron a tessere le armonie, i pezzi sono dilatati e c’è senz’altro una stupenda alchimia sonica che permette ai KC di affascinare, ma non basta la forma, certe connotazioni e la qualità intrinseca dei musicisti a determinare quanto superficialmente si attribuisce loro di solito (personificazione del progressive, innovatori e quant’altro). D’altronde lo stesso mitico pezzo “21St Century Schizoid Man” è costruito con tre semplicissimi riff della scala pentatonica di Do minore, "gira" su una variante di un blues minore con innestato un maestoso unisono sempre basato sulla pentatonica. È tutto sontuoso e loro suonano alla grande: la ricetta è buona e il risultato gustosissimo, ma gli ingredienti sono banali e certamente non progressive. |
_Nei KC la componente beatlesiana è fortissima e loro l’hanno amalgamata con la propensione e la capacità d’improvvisazione di derivazione jazzistica; lo straordinario chitarrista-capo del gruppo Robert Fripp si distingue dagli altri chitarristi anche per la sua acculturazione, che appunto include tutto ciò (canzone e jazz) con addizionata la componente classica.
Tutto questo è ancor più chiaramente confermato dal precedente disco del ’68 “The Cheerful Insanity of Giles, Giles & Fripp” a nome appunto dei fratelli Giles e Fripp. C’è da dar rilievo pure all’influenza forte e diretta dei Moody Blues sui primi King Crimson. D’altra parte l’intenso fattore lineare dato dalla forma canzone è spesso bilanciato da furiose e collettive improvvisazioni free che ritroviamo in sostanza in tutti i loro dischi. Dopo il secondo modesto disco “In The Wake Of Poseidon” (’70), arrivano altri due di transizione più jazzistici, comunque belli. Poi giunge la bellissima trilogia conclusiva del primo periodo (1974), con il capolavoro “Starless And Bible Black”, con la quale i King Crimson si spostano più su di un progressive rock-jazz con meno Beatles e più sperimentazione, ma confermando le linee primarie. I KC hanno preso gli elementi del progressive più a livello formale e comunque mischiandoli superbamente con le matrici americane (blues, jazz, r&b e funk), fondando in ogni caso un’originale e stupendo soggetto musicale. |
_"I KC hanno preso gli elementi del progressive a livello formale mischiandoli superbamente con le matrici americane..." |
__"Fino a “Thick As A Brick” i Jethro Tull non hanno nulla a che fare con il progressive" |
_Un secondo ma più piccolo caso
Siamo alla fine di questo affresco dei gruppi inglesi e a questo punto avrete senz’altro notato l’assenza di un nome che spesso è presente nell’ambito progressive: i Jethro Tull. Ebbene, fino al loro sesto disco, “Thick As A Brick” del 1972, i Jethro Tull non hanno nulla a che fare con il progressive; hanno iniziato con il bel “This Was”, disco di sano rock venato di blues e jazz, con belle sortite chitarristiche di Mick Abrams; hanno proseguito con l’ottimo “Stand Up”, dove hanno fatto emergere ancor di più la loro vena folk. “Benefit” del '70 è un disco ancor più ricercato e composito ma allo stesso tempo coeso: maturo. Senz’altro bello e affascinante è il loro best-seller “Aqualung”, dove alle matrici folk-rock aggiungono qualche spruzzata di dark-hard-rock, ma nulla di più. Il cammino dei Jethro è confermato dal doppio “Living The Past”. È appunto solo con “Thick As A Brick” e il seguente “A Passion Play” (’73), che Ian Anderson e i suoi si sintonizzano sulle onde soniche dei Genesis e Gentle Giant. |
_Il caso Jazz-Rock
Sembra necessario, per meglio comprendere quanto è stato finora detto, precisare le peculiarità del jazz-rock: a differenza del progressive è essenzialmente strumentale e farcito di assoli, è basato su armonie prettamente modali con una forma comunque circolare vicino a quella della canzone, è più “orizzontale” ed attinge direttamente alle matrici blues, jazz, r&b e funk, con una propensione al duetto (in assolo) o in ogni caso al dialogo tra gli strumenti (mutuato dalle matrici sopraddette e pure dai canti spiritual). Spesso si produce in obbligati virtuosistici mozzafiato che diventano tessuto dei brani e non solo interpolazioni. Anche i numerosi preziosismi strumentali (estemporanei e non) diventano importantissimi per l’economia dei brani, quasi come la scrittura stessa dei temi e degli obbligati. Essendo strumentale dà grande risalto e libertà agli strumenti, c’è quindi quella flessibilità e duttilità propria del jazz anche per quelli che accompagnano i numerosissimi assoli, pure per gli strumenti ritmici come il basso (comunque di frequente impegnato a suonare riff portanti) e la batteria (che spesso è però meno ariosa e più concentrata a marcare il tempo). I grandi esponenti di questo genere provengono tutti dal jazz quindi il loro linguaggio è impregnato di scale sofisticate e fraseggi serrati, di frequente “elettrificato” e dotato di un’incisività quasi rockeggiante. La “cultura musicale” ufficiale dà per certo che la fusione tra i mondi jazz e rock, o in ogni caso la contaminazione tra i generi, sia dovuta per opera del jazz, individuando nel grandissimo Miles Davis il suo alchimista più illustre e qualificato con la grande svolta del 1969 concretizzata con l’album “Bitches Brew”; pur non volendo nulla togliere all’importanza intrinseca di quell’opera la cui influenza hanno subito in molti, questo presunto archetipo è opinabile. C’è subito da chiarire che il filone jazz-rock di Miles è stato ripreso in maniera notevole a quel tempo solo dai bravissimi Weather Report di Zawinul e Shorter (e in parte da Hancock), mentre quello che si è poi affermato dal 1972 in poi, dopo la pubblicazione di “The Inner Mounting Flame” della Mahavishnu Orchestra di John McLaughlin, è il jazz-rock con le caratteristiche e coordinate che abbiamo descritto prima, piuttosto lontano sia come forma sia come contenuti dalla lezione di Davis. Ciò è confermato dall’altro grande gruppo che seguì a ruota la Mahavishnu, e cioè i Return To Forever (dal '73 in poi) di Chick Corea, che ebbe pure un notevole successo e una folta schiera d’epigoni e d’emuli. |
_"Il filone jazz-rock di Miles è stato ripreso a quel tempo solo dai Weather Report di Zawinul e Shorter..." |
_"La vera avanguardia vitale era proveniente
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_Detto questo, se andiamo ben a vedere (come già accennato), alcune caratteristiche del jazz-rock erano presenti diversi anni prima del 1972 ed esposte brillantemente e in forma compiuta da Zappa, Soft Machine, Caravan e Van Der Graaf Generator. Anche il concetto di fusioni di generi, con appunto l’avvicinamento del pianeta rock a quello jazz (o comunque la creazione di un nuovo soggetto musicale che fosse più sfaccettato e inusitato), è facilmente riscontrabile in questi stessi artisti (e tutti gli altri del progressive). Una citazione particolare va fatta per i Pink Floyd. Loro hanno prodotto (dal versante rock, con successo e quindi diffusione) il vero “Bitches Brew” concretando nel '67 il loro primo disco "The Piper At The Gates Of Dawn", e confermando ciò con i seguenti. Hanno realizzato forme libere e “contagiate”, naturalmente elettriche, ricorrendo a nuovi suoni, a parti scritte e parti improvvisate, con addirittura riferimenti visuali molto importanti (luci e diapositive proiettate nei concerti). E non importa quanto fossero grezzi e ignoranti musicalmente: l’hanno fatto e rifatto.
Il primato quindi va dato al rock e non al jazz (che comunque ha dato tantissimo alla Musica) di questa grandiosa e definitiva apertura e fusione. Il jazz si è contaminato (prima della metà degli anni sessanta) solo con se stesso, nel senso che l’ha fatto in ogni caso con delle matrici afro-americane, producendo di frequente musica molto schematizzabile poiché ha più accostato che fuso. Quindi la vera avanguardia vitale era proveniente dalla realtà magmatica rock e in particolar modo il progressive ne fu l’espressione definitiva e più alta, con tutte le sue multiformi varianti: l’ecumenismo musicale (in tutte le sue forme) è stato realizzato dai rockettari illuminati, gli altri sono arrivati dopo. Basti pensare che alla fine degli anni sessanta i musicisti jazz avevano quasi il timore di utilizzare gli strumenti elettrici, e il solo farlo era considerato quasi un’eresia, e in effetti c’è voluto un personaggio come Davis per dare nel 1969 uno scossone a quel mondo! |