Carlo Pasceri
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Libro Eroi Elettrici

Gentle Giant, unici sin dall'esordio

27/11/2017

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Gentle Giant è un gruppo inglese importantissimo di Prog-rock, ma quello che tra i grandi ha avuto meno successo (fatta salva l’Italia). Costituito basilarmente da Derek Shulman - voce solista, Ray Shulman - basso, Kerry Minnear – tastiere, Gary Green - chitarre elettrica e Martin Smith - batteria. Tuttavia sono dei polistrumentisti e, a parte il batterista, cantano tutti. 
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I loro brani sono di una complessità di scrittura inusitata, espressa con pulizia, precisione e scioltezza strumentale e vocale notevolissime; qualità evidenti già dal primo disco omonimo del 1970, ma soprattutto con i seguenti “Acquring The Taste” (’71), “Three Friends” e “Octopus” (’72). Fin qui in sestetto, poi quintetto; successivamente hanno prodotto ottimi dischi almeno fino a “Interview” del ’76; si sono sciolti in via definitiva nel 1980. 
Le loro composizioni sono molto verticali, ossia con molti strati che si sovrappongono, dense d’obbligati stupefacenti, con reminiscenze di musica Classica, sia quella antica sia quella moderna: dai canti gregoriani e polifonie medieval-rinascimentali, alle avanguardie novecentesche, transitando naturalmente per il Barocco e il romanticismo, tutto ciò è coniugato con una forte venatura rock fornita dalla chitarra elettrica alquanto “hard” dell’ottimo Gary Green e dall’energia propulsiva dei vari batteristi che si sono succeduti. I brani sono compattamente accreditati come autori a Minnear e ai tre fratelli Shulman.
Peraltro il complessivo colore sonico dei GG è molto particolare giacché anche molto acustico, infatti hanno una amplissima tavolozza timbrica, usando diffusamente e omogeneamente molti strumenti: vari tipi di sax, tromba, violino e violoncello, marimba, mandolini, flauti e quant’altro insieme con gli strumenti più comuni come tastiere, basso e batteria.
​
Altra particolarità è la brevità dei loro brani relativamente alle complicanze insite, facendoli risultare ancor più densi: molte sezioni, spesso in sovrapposizioni e successioni di vari generi e stili, e naturalmente di atmosfere, con poche ripetizioni. Probabilmente anche per questo hanno riscosso meno successo di altri.
Altresì, a differenza di altri gruppi del genere, i GG sin da questo disco di esordio hanno manifestato alquanto compiutamente la loro estetica e poetica musicale.

Si presentano potentemente già col primo brano, Giant, dopo l’introduzione con accordo di organo, in circa un minuto espongono con grinta l’eterogeneo nucleo, per poi ulteriormente variare con sezioni di differente natura. Ci sono interventi di Mellotron e fiati (coadiuvati da un ospite al flicorno tenore), magnifiche polifonie cinquecentesche fuse con riff hard-rock.
Segue Funny ways, un loro grande cavallo di battaglia; brano lento e melodico, ma alla loro maniera, denso di tempi dispari e repentini mutamenti di climi… Dopo circa due minuti riff in 7/8 che spezza l’incantesimo, traslando un po’ tutto, melodie, ritmi, armonie, suoni e dinamiche; segue altra sezione di collegamento con lirico assolo di chitarra elettrica per la ripresa della parte iniziale.
Alucard (giocano col titolo: Dracula al contrario) è ancora un brano pregno di diversi ambienti sonici, con profusione di vertiginosi temi, raffinati cambi armonici e agili e rapide dinamiche dal forte al piano e viceversa, prettamente strumentale: ci trascina velocemente nel mezzo di cariche da campi di battaglia a cori di chiese gotiche.
Isn’t it quiet and cold? è una canzone acustica (prevalentemente) in 3/4, quasi un valzer per voci, archi, basso e batteria con spazzole, di matrice beatlesiana (segnatamente mccartneyana); con assolo di marimba.
Segue un brano molto amato dal pubblico, Nothing at all; basato su un arpeggio discendente di chitarra acustica e una sinuosa melodia cantata (la parentela con la futura e celeberrima Stairway to Heaven è patente). Si innesta aggressivo riff che come loro solito conduce a una contrapposizione di climi; breve intervento solista di chitarra elettrica, segue inserto di un lungo assolo di batteria che dopo un po’, per non perdere il vizio dei contrasti, è screziato con un romantico pianoforte lisztiano, poi il pianoforte diventa novecentesco: nervoso e disincantato. Il pezzo termina con la ripresa della sezione iniziale. ​
Why not è un brano minore con due anime, quella principale, alquanto usuale, basata su riff rock-blues alla Cream, l’altra di reminiscenza polifonica rinascimentale, con brevi e funzionali collegamenti; la coda del brano è un convenzionale assolo di chitarra elettrica su base shuffle-blues raddoppiata di tempo. 
Quasi senza soluzione di continuità, e coerente stilisticamente a Why not, attacca la breve interpretazione dell’inno del Regno Unito in chiave rock The Queen, con la quale si conclude il disco; un po’ melodrammatica, tra lo scherzo e l’omaggio… Forse con questi ultimi due brani hanno voluto dimostrare qualcosa, magari che maneggiavano alla grande i “fondamentali”, forse dei riempitivi, chissà…
Insomma, la prima parte del disco è di altissimo livello, meno la seconda, comunque un ottimo esordio, registrato in sole due settimane (con ottima resa audio), che fungerà da apripista per le successive, e in assoluto più importanti, magnifiche opere che di lì a poco ci doneranno.
1 Comment
Alberto
31/7/2020 13:41:08

Grandissimo disco dei rockbaroc

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    Carlo Pasceri
    Chitarrista, compositore, insegnante di musica e scrittore.


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