L’ultimo di questi, Synchronicity, non è l’album della crisi artistica o del mancato successo, ma segna la rottura all’interno del trio: non andavano più d’accordo.
Peraltro Sting è in assoluto molto individuale in termini di timbro e registro, quindi si differenzia molto dai suoi colleghi britannici e rock tanto famosi quanto bravi, come Peter Gabriel e David Bowie o quelli statunitensi più fusion come Gino Vannelli e Al Jarreau.
Lui più acuto e meno flessuoso di questi, meno teatrale e articolato, più diretto e incisivo.
Synchronicity è dei Police l’opera più etnic-world, con rimandi più o meno espliciti a tribalismi che siano urbani o rurali (Synchronicity I, Walking In Your Footsteps, Mother, Wrapped Around Your Finger e Tea In The Sahara - ove però l’etnoworld è rappresentato solo da un paio di fugacissime apparizioni sullo sfondo dell’oboe al principio e soprattutto a metà), ha pure tempi differenti dal solito 4/4 (il 6/4 con cui inizia il disco Synchronicity I e il 7/8 del blues espressionistico vagamente frippiano di Mother).
The Dream of the Blue Turtles è un progetto ove Sting si avvale di giovani ma già molto apprezzati musicisti fusion, in particolar modo il batterista Omar Hakim allora componente dei Weather Report. Al basso Daryl Jones (già con Miles Davis), alle tastiere Kenny Kirkland e ai sax Branford Marsalis. Sting si occupa anche di suonare qualche minutissima parte di chitarra. Poi ci sono le coriste Dollette McDonald e Janice Pendarvi, qua e là rinforzate da altri.
Perciò sembra che Sting si sia rivolto a dei fusion-man, per definizione più duttili nel passare tra generi e stili diversi, per ottenere coordinate musicali differenti rispetto a quelle dei Police.
Dunque non solo timbri e personalità diverse da quelle di Andy Summers e Stewart Copeland, ma anche contenuti musicali, come composizioni e contributo individuale del solista principale del disco ovvero Branford Marsalis ai sax.
Inoltre l’assetto generale, prima basato sulla chitarra elettrica, ora è poggiato sulle tastiere; qui poco rock e più jazz, meno etnica e più classica.
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(A 2’53” non hanno “mutato” correttamente una traccia di voce.)
Voce, contrabbasso elettrico (suonato da Sting), charleston che tiene i tempi pari, sax soprano che volteggia stupendamente e sezione classica baroccheggiante. Poi entrano tastiere che innervano la bell’armonia del pezzo. Si prosegue e la parte classicheggiante prende ancor più spazio. Notevole.