Carlo Pasceri
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Libro Eroi Elettrici

Da Synchronicity alle Blue Turtles, il cambio di rotta di Sting

31/5/2020

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La coincidenza della stessa data di pubblicazione a distanza di due anni tra l’ultimo disco dei Police (Synchronicity, 1 giugno 1983) e del primo del loro leader Sting (The Dream of the Blue Turtles, 1 giugno 1985) ci dà lo spunto per tracciare qualche linea di riferimento musicale tra loro nel tentativo d’inquadrare meglio uno dei massimi protagonisti della musica più popolare degli ultimi decenni. 
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La vicenda musicale del magnifico trio dei Police è nota: a cavallo tra i Settanta e gli Ottanta cinque splendidi dischi rock per un successo planetario.
L’ultimo di questi, Synchronicity, non è l’album della crisi artistica o del mancato successo, ma segna la rottura all’interno del trio: non andavano più d’accordo.
La musica tra Synchronicity e The Dream è parecchio differente, naturalmente al netto del cantante.
Peraltro Sting è in assoluto molto individuale in termini di timbro e registro, quindi si differenzia molto dai suoi colleghi britannici e rock tanto famosi quanto bravi, come Peter Gabriel e David Bowie o quelli statunitensi più fusion come Gino Vannelli e Al Jarreau.
​Lui più acuto e meno flessuoso di questi, meno teatrale e articolato, più diretto e incisivo.
Synchronicity è dei Police l’opera più etnic-world, con rimandi più o meno espliciti a tribalismi che siano urbani o rurali (Synchronicity I, Walking In Your Footsteps, Mother, Wrapped Around Your Finger e Tea In The Sahara - ove però l’etnoworld è rappresentato solo da un paio di fugacissime apparizioni sullo sfondo dell’oboe al principio e soprattutto a metà), ha pure tempi differenti dal solito 4/4 (il 6/4 con cui inizia il disco Synchronicity I e il 7/8 del blues espressionistico vagamente frippiano di Mother).
The Dream of the Blue Turtles è un progetto ove Sting si avvale di giovani ma già molto apprezzati musicisti fusion, in particolar modo il batterista Omar Hakim allora componente dei Weather Report. Al basso Daryl Jones (già con Miles Davis), alle tastiere Kenny Kirkland e ai sax Branford Marsalis. Sting si occupa anche di suonare qualche minutissima parte di chitarra. Poi ci sono le coriste Dollette McDonald e Janice Pendarvi, qua e là rinforzate da altri.

​Perciò sembra che Sting si sia rivolto a dei fusion-man, per definizione più duttili nel passare tra generi e stili diversi, per ottenere coordinate musicali differenti rispetto a quelle dei Police.
Dunque non solo timbri e personalità diverse da quelle di Andy Summers e Stewart Copeland, ma anche contenuti musicali, come composizioni e contributo individuale del solista principale del disco ovvero Branford Marsalis ai sax.
​Inoltre l’assetto generale, prima basato sulla chitarra elettrica, ora è poggiato sulle tastiere; qui poco rock e più jazz, meno etnica e più classica.

Se l’apertura avvincente di If You Love Somebody Set Them Free non preconizza poi così tante differenze dal recente passato (al netto di suoni, interventi solistici sax e persistente tamburello), già l’africaneggiante Love Is The Seventh Wave, pur sembrando un reggae, fa cambiare registro; anche tenendo conto che qui, diversamente da Synchronicity, l’elemento etnic-world appare più festoso ove lì assiduamente teso.
S’incarica il seguente Russians di portarci altrove, brano ombroso e pulsante, inquieto, dominato da orchestrali tastiere (senza batteria), nel quale Sting, solitario senza alcun coro, in modo innodico-invocativo rende altamente drammatica un’ampia melodia (ispirata da un brano del compositore classico Sergej Prokofiev che poi fa suonare testualmente) piuttosto inconsueta per lui: coi Police ha cantato tutt’altro. (Strano che a 0’58” del verso There is no monopoly on common sense ci sia l’attacco di più voci – mai presenti nel pezzo - solo per la parola “There”.) 
Inizia thrilling anche Children's Crusade, poi la parabola del tempo di 3/4 col consueto breve motivo “stingiano” melodico ad arco (ascendente-discendente) rilassa un po’. Con la seconda sezione più aperta e col contrappunto baroccheggiante del soprano di Marsalis si stabilisce un registro emotivo ancor differente ma non drammatico.  Comunque è la terza e ultima sezione, che vede protagonista Marsalis impegnato in un lungo solo, che risolutivamente aumenta la temperatura (la sua frase coltraniana che inizia a 2’58” si segnala come tra le cose di linguaggio più schiettamente jazzistico dell’intero disco). Poi si plana mediante la seconda sezione resa ancor più baroccheggiante da un intreccio a canone di cori, terminando con la prima.
Shadows in the Rain è un arrangiamento di un pezzo di Zenyatta Mondatta (The Police, 1980), qui reso specie di elegantissimo, colto, rock&roll. Un trascinante up-tempo shuffle (che aumenta notevolmente con lo scorrere dei secondi) con assoli di tastiere e sax tenore, “messo su” come fosse una jam session, con il cantato di Sting aggressivo (la sua voce s’incrina in due occasioni: a 0’51 e 3’43”). 
We Work the Black Seam inizia in assolvenza e termina in dissolvenza con la stessa parte impulsiva di 6 crome sincopate di tastiere: amalgama bene l’elettronica con l’acustico della voce e il soprano. Africaneggiante e quindi modale; con susseguente distensione tonale.
Consider Me Gone è un altro brano che inizia con assolvenza e termina in dissolvenza, e pure questo ha la prima sezione modale che poi "apre". Dominato dall’organo e naturalmente da Sting, che ancora canta un breve tema ad arco ascendente-discendente, sorta di domanda-risposta, questa volta soffermandosi sulle estensioni scalari: colori più jazzy. È un brano felino, sensuale.
​(A 2’53” non hanno “mutato” correttamente una traccia di voce.)  
The Dream of the Blue Turtles pezzo di un minuto tripartito: tema in progressione discendente swing, poi un altro rigido quasi militare, cui succede assolo di pianoforte con la ritmica swing e walkin’ bass. 
Moon over Bourbon Street è il brano più ambizioso, con un tema di ben più ampio respiro del solito.
Voce, contrabbasso elettrico (suonato da Sting), charleston che tiene i tempi pari, sax soprano che volteggia stupendamente e sezione classica baroccheggiante. Poi entrano tastiere che innervano la bell’armonia del pezzo. Si prosegue e la parte classicheggiante prende ancor più spazio. Notevole.
Fortress Around Your Heart il pezzo più “poliziesco”, smussato da suoni e individualità molto diverse rispetto a Summers e Copeland. Un finale tutto sommato coerente di un disco che si era aperto in modo alquanto convenzionale, che poi è però proseguito in maniera eterogenea e originale.
The Dream of the Blue Turtles è stato un disco molto importante perché ha di fatto diffuso un modo di fondere generi e stili che a questo livello (popolare) aveva avuto pochissimi precedenti: realizzato da un grande artista all’apice della notorietà, conseguendo oltretutto un ottimo successo, questo album ha indicato una direzione che ha invitato altri artisti a fare altrettanto.
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    Carlo Pasceri
    Chitarrista, compositore, insegnante di musica e scrittore.


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