Peraltro sono state estratte dal passato alcune precise soluzioni strutturali, nemmeno troppo brillanti già in nuce (ma ben più efficienti nel loro tessuto originale), e qui reinnestate: sono ormai esaurite del tutto del loro portato fertilizzante, non solo perché trascorsi decenni, anche perché il terreno dove sono state reimpiantate era arido.
Dunque il disco, musicalmente, è monotono. Reminiscenze del suo glorioso passato ed esecuzioni dozzinali… questi due fattori si saldano e rafforzano mortalmente l’effetto di estrema monotonia.
In “Is This the Life We Really Want?” la piattezza è efferata, tutto va verso una direzione di scarsezza; esiguità compositive accentuate dai mancati apporti individuali dei suoi collaboratori: né assoli né interazioni (senza commenti strumentali e con pochissimi cori) al suo cantare.
Qui nemmeno nell’accompagnamento musicale c’è qualche guizzo o articolazione tecnica/espressiva all’altezza del rango di Waters: tutto è anonimo e floscio, senza impulsi vitalizzanti; non un ritmo, un riff, una parte, una trovata che si possa rammentare. Pure lui, al basso, praticamente non c’è; pochissimo basso in assoluto, sia per l’assenza di parti di rilievo sia per il missaggio, qualche banale appoggio, il resto tante tastiere (e campionamenti)...
Anche il suo cantare è ridotto: sovente quasi un parlottio su un paio di note oppure qualche sgolo; in ogni caso con timbro e vigore compromessi dall’età.
Ma non sono così diminuite le suggestioni “esterne”, quelle dei suoni amusicali introdotti (mormorii, rumori, versi animali ecc.): trucchi di bassa lega? Forse…
Insomma, ci sono pochissime idee e contenuti (tantomeno fantasiosi), ci sono modestissime esecuzioni di comunissime parti, invece del tutto assenti pregiate estemporaneità (assoli ecc.) che avrebbero innalzato un poco la quota.
PS: Un dubbio rimane. Lo stesso fan che ora accoglie questo disco con grande entusiasmo, cosa avrebbe pensato di questo lavoro se l’autore non fosse stato Roger Waters?