È invalso (anche in specifici manuali e testi musicali) intendere e applicare questo termine per esprimere spiacevolezza nell’ascoltare alcuni suoni, come per il rumore, ma essendo questa sensazione del tutto soggettiva e variabile nel corso del tempo, nelle abitudini e geografie dei popoli, questo concetto è poco utile, se non controproducente, per comprendere oggettivamente la dissonanza.
Va da sé che la dissonanza è correlata con la consonanza.
Pertanto le consonanze e le dissonanze si generano quando ci sono almeno due note in relazione l’una con l’altra; sono qualità fisico-musicali che producono stabilità/tensione - rilassamento/movimento - fusione/attrito.
Insomma, non esistono scale o melodie intrinsecamente consonanti o dissonanti.
I suoni consonanti si fondono l'uno con l’altro, quelli dissonanti si urtano; infatti, sono termini per indicare (pure a priori) consapevolezza dei nessi oggettivi di causa-effetto musicali per meglio usarli, e non per giudicare soggettivamente disposizioni di note come gradevoli/sgradevoli.
Dunque, la consonanza offre stabilità e rilassamento e quindi esprime uno stato di quiete e solidità, spesso vivacizzata da dissonanze; invece la dissonanza offre tensione e movimento pertanto espressione di fluida inquietudine, di solito "risolta" con le consonanze.
Va detto pure che non c’è solo bianco e nero, pura consonanza e pura dissonanza, ma ci sono soprattutto sfumature, gradazioni, grigi.
Anzi, sarebbe ancor più corretto definire che, fatto salvo l’intervallo di ottava, le combinazioni di note sono tutte dissonanti, da un minimo a un massimo, perché tutte generano attrito; da pochissimo a tantissimo* (l’ottava pressoché inesistente e perciò è un intervallo mal compreso musicalmente).
Nella musica più diffusa, Dance, Pop, Rock, Funk, Soul, Blues ecc., c’è uno scarsissimo uso di dissonanze sia come quantità sia come qualità, cioè quante e se son forti, potenti: nella Classica (soprattutto del Novecento) e nel Jazz sono molto più diffuse; spesso sono sistematiche, sistemiche.
Tuttavia anche il grosso pubblico è esposto a una formidabile dissonanza sistemica, invalsa in modo particolare nel Blues e suoi derivati, divenuta parecchio caratterizzante (ma non decisiva del genere Blues e suoi derivati), ed è quella semitonale (cromatica).
Si produce allorquando si sovrappone all’accordo di natura maggiore (p.e. DO7) la nota che dista da esso una terza minore (p.e. nel DO7 che ha il Mi un Mib**).
È la massima tensione a disposizione, pertanto genera un’energia, uno slancio straordinario: si è così tanto abituati a questa dissonanza che non la si sente quasi più come tale, come un qualcosa di così stridente, quasi sgradevole, come sovente la dissonanza è intesa e raccontata, ma al contrario, piacevolmente dinamico.
Un buon esempio è una natalizia canzone jazz-blues, Cool Yule, cantata e suonata da Louis Armstrong nel 1953, in cui sia il tema cantato nei primi versi delle strofe (nei successivi c’è solo la terza “giusta”) sia nell’imperioso attacco del suo magnifico, melodico assolo, Armstrong usa l’urto della terza minore sovrapposta all’accordo maggiore***. (Nel breve solo usa anche altre dissonanze cromatiche di passaggio.)
* Approfondimenti e precisazioni, pure di natura fisico-scientifica, sono presenti nei miei libri musicologici: Tecnologia Musicale, Viaggio all’interno della Musica, Piccolo Glossario Sinottico Musicale e Quaderni Musicologici.
** C’è anche quella tritonica, la quinta bemolle (o diminuita), ma è meno usata ed è più di passaggio che strutturale; viceversa nel genere Metal e affini.
*** Le primissime due dissonanze (delle molte terze minori presenti) nel cantato sono nel testo la IS (a 7’’) di “From Con-ey - IS- land to the Sun -set – Strip”, e GON (a 10’’ ) di “Some - bod - y's GON – na - make a hap - py trip”. Nel solo la prima dissonanza (delle molte) è a 1’11’’.