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Libro Eroi Elettrici

Armstrong e West End Blues: 12 secondi che fanno la storia

21/12/2018

2 Comments

 
In assoluto il Novecento ha visto la formidabile novità della figura dello strumentista che sale al proscenio “improvvisando” frasi musicali. E l’artista più importante di tutti è stato Louis Armstrong. 
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Al netto di quello che poi nell’immaginario collettivo è divenuto e sedimentato (anche per molti “addetti ai lavori”), ovvero un curioso cantante dalla voce roca che ogni tanto suona la tromba (più precisamente era una cornetta all'inizio), se si vuol capire il solismo moderno bisogna far riferimento a lui. 
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Armstrong è la chiave di accesso per comprendere la formalizzazione del linguaggio dello strumentista solista. Ma non semplicemente perché lui l’arcaico archetipo, bensì perché è il campione discendente più avanzato e sontuoso: radice nutrientissima. Decisivo.

Louis il meraviglioso melodista, che prendeva acuti con potenza e precisione come nessun altro, sì, certo, però anche colui che gettò le basi dello stile jazz che più ha influenzato le successive generazioni di musicisti mediante un rapido e denso reticolo di cromatismi edificati su sequenze accordali (di solito cadenze blueseggianti): il bebop di Charlie Parker e Dizzy Gillespie.
Armstrong disegnatore di inesauribili traiettorie melodiche.
Egli negli anni Venti fu attivissimo sia come session man sia come leader di propri gruppi, innumerabili esempi del suo ineguagliabile suonare potente e rapsodico… Però un poker di pezzi lo facciamo, due strafamosi due molto meno: West End Blues / Potato Head Blues, e Wild Man Blues / Changeable Daddy Of Mine (con la cantante Margaret Johnson). Sono in ordine decrescente di popolarità e anzianità (dal 1928 al ’24). 

Dunque, di là del suo sublime essere melodista, che sembra trascendere tutto e tutti librandosi, I Gotta Right to Sing the Blues (1933) ne è un plastico esempio, è acclarato da molto tempo che il “suo” West End Blues sia uno dei brani più importanti della storia del Jazz, pertanto della musica del XX secolo.
Il brano fu scritto da un padre nobile del Jazz, Joe “King” Oliver (che lo registrò pochi mesi prima di Louis), ed è un blues in MIb strutturato in 12 battute; una gemma in tutto e per tutto.
L’accuratezza dell’arrangiamento, gli interventi di tutti, in special modo di un giovane pianista innovatore di nome Earl Hines, che porrà le fondamenta per lo sviluppo del susseguente linguaggio pianistico a cominciare dai bopper e che prosegue ancor oggi, lo impreziosiscono. Va da sé che il genio è comunque Armstrong, ed è altresì acclarato che la cosa che più fece scalpore fu quella dozzina di secondi della sua solitaria introduzione al pezzo. Poche battute ma non poche note (una settantina) giacché alquanto rapide.

E diffusamente di Armstrong si inneggiano la sua meravigliosa articolazione (piena di swing con micro e macro asimmetrie ritmiche) e la potenza ed estensione; tuttavia non c’è un granché di analisi armonico-melodica delle note suonate: insomma molto più come sono eseguite che quali.
Invece parecchia pianificazione, Armstrong aveva già ben chiaro in testa cosa fare nel momento della registrazione di West End Blues, sia nella sua struttura di massima sia dei precisi moduli da inserire: è scarsa la quota di vera improvvisazione di questo stupendo pezzo di musica.  

L’introduzione in compendio: la prima parte blues al tono minore relativo DO basato sulla scala Blues prima con arpeggio discendente poi con qualche zig-zag; risale (3”) rapidamente mediante l’arpeggio di DOm7 con una formula classicheggiante (note ribattute), giungendo al Do acuto (5”).
La seconda parte ancora bluesy trasferendosi al tono d’impianto (MIb) “minorizzato” (ma senza scala Blues o pentatonica. Seguono (8”) frasi dense di cromatismi che sembrano dettate da pensieri armonici, peraltro ritornando al tono relativo minore (DO) tramite il perno Fa ossia il suo quarto grado (stilema blues), degne di esser considerate già compiute linee protobop. Per poi terminare (10”) ancora traslando settore tonale: tratteggia la dominante (SIb7) del tono di impianto di West End Blues, che finalmente dopo una pausa può iniziare.
​
Questo pezzo sembra essere un punto di arrivo di un viatico già segnato in modo sicuro nel lontano 1924 in quella sessione minore di “Changeable” con la Johnson: Armstrong già stellare nei suoi interventi, con swing inarrivabile lirismo bluesy e rapsodiche idee (nel finale a 2’25” salita classicheggiante), soprattutto nelle veloci quattro battute di break (2’12”) che, cromatizzando moltissimo le note guida accordali (semplificando: un FA9), preconizza il suo avanzato concetto melodico-armonico protobop. Armstrong futurista!*
E in altre più importanti occasioni non ha ricalcato pedissequamente se stesso, ma ne ha naturalmente tratto rilevanti spunti per l’accrescimento del suo linguaggio (come appunto in West End Blues).  
E col successivo Wild Man Blues amplia ulteriormente il suo già enorme repertorio di volteggi di note, potenza ed espressione, e abilità di costruzione solistica.

Insomma, West End Blues, dodici flessuosissimi secondi di un percorso musicale tanto coerente quanto creativo suonati in modo magnifico, con tutto al massimo livello: testa, polmoni e dita.
Incomparabile Louis!
 

*Ben ventidue anni dopo questo oscuro break di Armstrong ci sarà il “Famous alto break” di Charlie Parker, che segnerà generazioni di musicisti. Tuttavia, di là dello strepitoso virtuosismo esecutivo dato dalla velocità, nulla aggiunge come linguaggio a quelli di Armstrong; anzi (sembra un esercizio classicheggiante: lineare cadenza intorno all’accordo FAM7 con minimi cromatismi).

2 Comments
Claudio
22/12/2018 18:47:53

Le foto che ho visto da voi pubblicate, mostrano una tromba in mano a Louis non una cornetta, ciao

Reply
carlo pasceri
22/12/2018 23:01:00

Vero, grazie dell'attenzione Claudio, ciao.

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    Carlo Pasceri
    Chitarrista, compositore, insegnante di musica e scrittore.


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