E George Duke è uno dei rarissimi “veri” tastieristi, ossia uno dei pochissimi pianisti che successivamente all'istruzione e pratica iniziale dello strumento fondamentale, sono riusciti ad affrancarsi dalla mera tecnica d’articolazione del piano, “pensando” la tastiera come un emettitore di suoni ben più ricco, sofisticato e dotato di un pianoforte (o piano elettrico), spesso filtrando i suoni pure con quei pochi effetti e device elettronici che all'epoca erano disponibili.
Quindi Duke ha realizzato soprattutto per quanto riguarda l’aspetto solistico e monofonico (a note singole) delle linee musicali e timbriche davvero peculiari, andando a tracciare percorsi che hanno portato consapevolezza e cognizione delle potenzialità dello strumento, arricchendo tecnicamente ed espressivamente le tastiere e pertanto la musica tutta giacché ha ben messo in pratica le sue idee musicali in modo efficacissimo.
Da qui la sua enorme importanza come strumentista, non dimenticando (oltre ai suoi sempre eccellenti apporti come autore/arrangiatore e strumentista in dischi altrui) che ha realizzato vari dischi a suo nome nei ’70 di ottima qualità (purtroppo poco conosciuti), distinguendosi sempre seppur nel solco di un genere che all’epoca era pure un po’ inflazionato come il Jazz-Rock, perché sempre incline a un virtuosismo mai fine a se stesso, che deriva da un’urgenza espressiva sana e sincera e costruisce una musica di spessore non comune: è riuscito a bilanciare ingegno, perizia strumentale, complicate soluzioni con il colore e il calore funky e una melodica cantabilità tematica, producendo così una musica a largo spettro originale e preziosa.
Moltissimi suoi colleghi (anche fuoriclasse come Herbie Hancock e Chick Corea) hanno usato le tastiere (e l’organo) insieme con il piano, ma la stragrande maggioranza di essi trasferiscono un po’ pedissequamente quello che sanno fare sul piano alle tastiere, pertanto pur usando timbri particolari e inusuali insieme con qualche mini accorgimento tecnico, non sfruttano davvero le enormi possibilità di questi strumenti. (Un altro dei pochissimi “veri” tastieristi è l’eccellente tastierista cecoslovacco Jan Hammer, coetaneo e coevo musicalmente a Duke.)
Di solito il passaggio dei pianisti alle tastiere avviene mediante l’organo elettrico Hammond (o simili), ma Duke nella sua carriera è passato quasi direttamente ai sintetizzatori, e siccome lo ha fatto nei primi anni settanta dove c’erano solo sinth monofonici, e non usando l’organo probabilmente per motivi timbrici, ecco forse anche spiegata la ragione per la quale si è ulteriormente “specializzato” nelle frasi e interventi a note singole…
La bellezza delle tastiere (a dispetto del piano, che ha altre peculiarità seppur molto circoscritte) risiede anche nelle pressoché illimitate possibilità di realizzare trame armoniche davvero quasi orchestrali e inusitate, tuttavia Duke quasi rinunciando del tutto a queste potenzialità, è riuscito a donarci un contributo musicale che non muore con lui: speriamo che la generazione presente e quelle future di musicisti riscoprano questo grande signore delle tastiere e della musica!