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Libro Eroi Elettrici

Il "Guaio" di Pino Daniele: una gemma in uno scrigno di gioielli

30/6/2017

2 Comments

 
Castello di Carimate, dintorni di Como, autunno 1979, si sta registrando il terzo disco del giovane ed emergente cantautore napoletano Pino Daniele, quello che lo proietterà nell’empireo della musica italiana: Nero A Metà. 
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I dischi immediatamente successivi eleveranno Daniele ancor più, confermando che non solo è nata una stella, ma che splende sicura come quella polare; allo zenith. Il disco è intriso di qualità a tutti i livelli; sarà un capolavoro.
Nero A Metà è come quelle rare e spettacolari congiunzioni celesti che influenzano maree e altri fenomeni… In questa si allineano la facoltà di piacere a un vasto pubblico, coniugando i consueti ganci di semplicità comunicativa con soluzioni non banali, insieme con un suonato di pregio: Quanno chiove, Voglio di più, A me me piace ‘o blues, Alleria ecc., sono brani che ormai hanno fatto la storia della nostra musica, e Pino Daniele diverrà una costellazione musicale di riferimento.

La produzione musicale del disco nel suo insieme (composizioni e realizzazione sonica) ammira quella di eccellenza americana, la Fusion cantata degli Steely Dan, George Benson, Al Jarreau, finanche EW&F: è debitrice ma non è mera emulazione.
​Dodici brani, di questi dodici brillamenti uno minore attira la mia attenzione: Puozze passà ‘nu guaio.
E che avrebbero di particolare questi 180 secondi di una semplice canzoncina di velocità media basata su un giro di accordi in SOL minore, striata di blues giacché con tipica sequenza accordale col pendolo sul DO minore (I-IV) variante diatonica di quello maggiore, insieme con una persistente chitarra elettrica che commenta il cantato e va in assolo?
La fascinazione non dovrebbe esser certo aumentata (in un disco raffinato e pochissimo ruvido-rockeggiante) dall’adozione di un minimo dispiegamento strumentale e la semplicissima ingegneria dei processamenti sonori (spazializzazioni, filtraggi ecc.): due chitarre (una solista e una d’accompagnamento, quasi inudibile), voce (raddoppiata nelle quattro misure della parte B), batteria, basso e organo.
Insomma, è un brano semplice e scarno, apparentemente in tutto e per tutto, tuttavia nasconde alcune peculiarità. Scopriamole.
Innanzitutto la forma (interna): l’introduzione, seppur basata su una frase discendente pentatonica alquanto banale (un lick rock-blues suonato dalla chitarra in modo impeccabile), è sincopata in modo tutt’altro che comune e distribuita in una misura di 7/4; segmentazione interamente dispari di 3 crome + 3 crome + 3 semicrome + 3 semicrome + 5 crome. (Crome sono gli ottavi, semicrome i sedicesimi.)
La successiva fase (Ponte I) è di sei misure, poi le ortodosse A e B (complessivamente di dodici misure), segue il Ponte II di dispari misure, sette, con inizio accordo differente dal Ponte I.
Si ripete A e B e torna il particolare Intro in 7/4. Per il finale Ponte III con lo stesso accordo del Ponte I ma parificato in otto misure, ripetuto e a sfumare. Pertanto solo quattro parti che si alternano, ma che hanno caratteristiche e varianti non comuni.
  
Quello che segue è lo schema della strutturazione di Puozze passà ‘nu guaio: messi anche gli accordi che principiano le varie sezioni.
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Non è tutto qui, va rilevato che il brano ha come figure principali la chitarra e la batteria (e naturalmente la voce che però non è sempre presente: c'è per meno la metà del tempo). Infatti, il resto, l’armonia fornita dall’organo (talvolta raddoppiato) e dalla seconda chitarra insieme col basso, sono lo sfondo, lo scenario ove si svolge l’azione delle figure dominanti.
E se per la chitarra solista (continuamente presente) e la voce il protagonismo è plateale, la batteria è la grande e occulta coprotagonista, perché il ritmo che esegue è strutturato in modo specifico (probabilmente  Agostino Marangolo, o Mauro Spina, mancano i crediti).
Nonostante la velocità del brano sia media (oscillando intorno a 90 bpm) la sensazione è che il pezzo sia più lento, ciò è dovuto al fatto che il batterista non esegue quel che quasi sempre (in special modo dalla fine dei ’70) i batteristi fanno: suonare sul charleston in modo alquanto lineare e continuo i raddoppiamenti del tempo (le crome). Così si consegue un doppio obiettivo: funge da serrato metronomo per tutti e fa trottare alla grande il pezzo.
Qui no, il batterista usa pochissimo il charleston (anche i piatti), e lo fa nella parte A per accentuare il colpo sui movimenti 2 e 4 del rullante (backbeat) aprendolo per metà (con qualche “appoggio” seguendo il ritmo del pezzo), compensando la naturale propensione di avvertire come tempo dominante quelli dispari (1 e 3), peraltro suonati dal basso che in tal modo bilancia il notevole trasferimento del peso ritmico sui movimenti pari.
Addirittura nella parte B non c’è né questo né altre parti (appena una lontana risonanza di un piatto), differenziando questa sezione ancor più dalle altre. Ciò offre al brano meno sveltezza e più epicità, meno premura e più fierezza. Altresì il batterista esegue molti e non scontati fill (a 4”, 18”, 34”, 56”, 1’07”, 1’54”, 2’09”, 2’29” e 2’51”).
​
A commento di un intenso e incisivo cantato, la chitarra elettrica di Daniele attraversa tutto il brano, lumeggiandolo coi suoi interventi solistici. Graffiante ed espressivo (la filtra con wha-wha e leggero univibe o phaser) con linee melodiche che sono a volte stringate e flashy,  come delle interiezioni interpolative,  altre più narranti e distese: Pino adotta uno stile rock alquanto consueto, tuttavia non mancandogli capacità di articolazione tecnica (bending, legati, hammer on - pull off, glissati, vibrati ecc.) e soprattutto notevoli idee melodiche, riesce per tutto il brano a imporre la chitarra come un elemento che non solo completa e arricchisce la canzone, ma struttura l'intero profilo melodico, tracciando anche frasi cantabili o eccitanti mini riff. Irrinunciabile.
 
P.S. Una versione alternativa (pubblicata nel 2014 nell'edizione speciale di Nero A Metà) rimanda a una prova di formalizzazione del pezzo con stilemi Reggae (tipo “E la luna bussò” della Berté): interessante, comunque siamo felici della versione definitiva. D'altronde l'accentuazione così potente del backbeat della batteria, aumentata a tratti dalla parte di organo, dona al brano comunque un vago senso reggae.

​Pino Daniele è uno dei protagonisti del libro Eroi elettrici - I grandi solisti della chitarra
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2 Comments
Marcello
22/3/2021 16:25:12

Nel brano "Puozze passa nu guaie" suona Marangolo, c'è scritto.

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carlo pasceri
23/3/2021 07:34:57

Grazie Marcello della conferma.
Purtroppo non ci sono i crediti dei musicisti nell'edizione originale in CD né, incredibilmente, in quella speciale del 2014, come evidentemente ci sono nella versione LP.
Ne approfitto dunque per segnalare che Mauro Spina è presente solo in Nun Me Scoccià e Sotto 'O Sole.

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    Chitarrista, compositore, insegnante di musica e scrittore.


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