La produzione musicale del disco nel suo insieme (composizioni e realizzazione sonica) ammira quella di eccellenza americana, la Fusion cantata degli Steely Dan, George Benson, Al Jarreau, finanche EW&F: è debitrice ma non è mera emulazione.
Dodici brani, di questi dodici brillamenti uno minore attira la mia attenzione: Puozze passà ‘nu guaio.
La fascinazione non dovrebbe esser certo aumentata (in un disco raffinato e pochissimo ruvido-rockeggiante) dall’adozione di un minimo dispiegamento strumentale e la semplicissima ingegneria dei processamenti sonori (spazializzazioni, filtraggi ecc.): due chitarre (una solista e una d’accompagnamento, quasi inudibile), voce (raddoppiata nelle quattro misure della parte B), batteria, basso e organo.
Insomma, è un brano semplice e scarno, apparentemente in tutto e per tutto, tuttavia nasconde alcune peculiarità. Scopriamole.
Innanzitutto la forma (interna): l’introduzione, seppur basata su una frase discendente pentatonica alquanto banale (un lick rock-blues suonato dalla chitarra in modo impeccabile), è sincopata in modo tutt’altro che comune e distribuita in una misura di 7/4; segmentazione interamente dispari di 3 crome + 3 crome + 3 semicrome + 3 semicrome + 5 crome. (Crome sono gli ottavi, semicrome i sedicesimi.)
La successiva fase (Ponte I) è di sei misure, poi le ortodosse A e B (complessivamente di dodici misure), segue il Ponte II di dispari misure, sette, con inizio accordo differente dal Ponte I.
Si ripete A e B e torna il particolare Intro in 7/4. Per il finale Ponte III con lo stesso accordo del Ponte I ma parificato in otto misure, ripetuto e a sfumare. Pertanto solo quattro parti che si alternano, ma che hanno caratteristiche e varianti non comuni.
Quello che segue è lo schema della strutturazione di Puozze passà ‘nu guaio: messi anche gli accordi che principiano le varie sezioni.
E se per la chitarra solista (continuamente presente) e la voce il protagonismo è plateale, la batteria è la grande e occulta coprotagonista, perché il ritmo che esegue è strutturato in modo specifico (probabilmente Agostino Marangolo, o Mauro Spina, mancano i crediti).
Nonostante la velocità del brano sia media (oscillando intorno a 90 bpm) la sensazione è che il pezzo sia più lento, ciò è dovuto al fatto che il batterista non esegue quel che quasi sempre (in special modo dalla fine dei ’70) i batteristi fanno: suonare sul charleston in modo alquanto lineare e continuo i raddoppiamenti del tempo (le crome). Così si consegue un doppio obiettivo: funge da serrato metronomo per tutti e fa trottare alla grande il pezzo.
Qui no, il batterista usa pochissimo il charleston (anche i piatti), e lo fa nella parte A per accentuare il colpo sui movimenti 2 e 4 del rullante (backbeat) aprendolo per metà (con qualche “appoggio” seguendo il ritmo del pezzo), compensando la naturale propensione di avvertire come tempo dominante quelli dispari (1 e 3), peraltro suonati dal basso che in tal modo bilancia il notevole trasferimento del peso ritmico sui movimenti pari.
Addirittura nella parte B non c’è né questo né altre parti (appena una lontana risonanza di un piatto), differenziando questa sezione ancor più dalle altre. Ciò offre al brano meno sveltezza e più epicità, meno premura e più fierezza. Altresì il batterista esegue molti e non scontati fill (a 4”, 18”, 34”, 56”, 1’07”, 1’54”, 2’09”, 2’29” e 2’51”).
A commento di un intenso e incisivo cantato, la chitarra elettrica di Daniele attraversa tutto il brano, lumeggiandolo coi suoi interventi solistici. Graffiante ed espressivo (la filtra con wha-wha e leggero univibe o phaser) con linee melodiche che sono a volte stringate e flashy, come delle interiezioni interpolative, altre più narranti e distese: Pino adotta uno stile rock alquanto consueto, tuttavia non mancandogli capacità di articolazione tecnica (bending, legati, hammer on - pull off, glissati, vibrati ecc.) e soprattutto notevoli idee melodiche, riesce per tutto il brano a imporre la chitarra come un elemento che non solo completa e arricchisce la canzone, ma struttura l'intero profilo melodico, tracciando anche frasi cantabili o eccitanti mini riff. Irrinunciabile.
P.S. Una versione alternativa (pubblicata nel 2014 nell'edizione speciale di Nero A Metà) rimanda a una prova di formalizzazione del pezzo con stilemi Reggae (tipo “E la luna bussò” della Berté): interessante, comunque siamo felici della versione definitiva. D'altronde l'accentuazione così potente del backbeat della batteria, aumentata a tratti dalla parte di organo, dona al brano comunque un vago senso reggae.
Pino Daniele è uno dei protagonisti del libro Eroi elettrici - I grandi solisti della chitarra