Carlo Pasceri
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Libro Eroi Elettrici

Quella musica inafferrabile degli Steely Dan

12/5/2019

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Steely Dan, attivi discograficamente per nove anni dal 1972 al 1980 pubblicando sette opere*, è il nome che cela un duo di grandi songwriter statunitensi, Donald Fagen (voce e tastiere) e Walter Becker (chitarra e basso), innamorati della chitarra elettrica e del Jazz. 
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Per i primi due dischi (Can't Buy a Thrill e Countdown to Ecstasy) era, in effetti, più un gruppo che un duo con session-man al loro servizio (alcuni di gran rango), come fu dal terzo disco (Pretzel Logic) in avanti.
Per il lato formale gli Steely Dan sono quasi sinonimo di alcune caratteristiche, mentre per quello musicale, a fronte dei molti influssi, piuttosto nebulosi: cerchiamo di chiarire.
È divenuta quasi proverbiale la loro crescente ossessione per la cura dei dettagli in sede di registrazione dei propri dischi, sia per quanto riguarda le esecuzioni musicali sia per la scelta e la resa dei suoni.
Tuttavia, per vari ordini di motivi**, solo in parte corrisponde al vero che i loro dischi siano da prendere come modelli assoluti di intrinseca qualità di registrazione-missaggio-masterizzazione, insomma di come il prodotto finale debba suonare.

Comunque, sotto questo punto di vista, seppur non poi così dissimili da altri artisti, dal loro terz’ultimo disco del ’76 The Royal Scam c’è una crescente qualità che riguarda il "sound" finale, ovvero un’ottimale resa di un particolare modello d’impatto sonico: Aja e Gaucho sono divenuti dei dischi di riferimento in quanto a sound, talora usati anche come test per impianti Hi-Fi.
Seppur non una novità assoluta (a fronte del loro successo di pubblico e di critica e delle sempre più potenti tecnologie), il loro sistematico montaggio a strati dei brani (prima la ritmica poi a mano a mano il resto perciò non tutti insieme dal vivo), divenne dal decennio successivo in poi la principale procedura di registrazione anche in generi diversi dal Pop. Nonché orientarono alcune soluzioni timbriche (ne sa qualcosa il nostro grande Pino Daniele).

Ora l’altra questione, quella nebulosa: che musica fanno gli Steely Dan?
In estrema sintesi: canzoni rock dominate dagli accordi del piano elettrico spesso filtrato col phaser e dagli interventi solistici della chitarra elettrica quasi sempre con timbro distorto, con cori “westcoastiani” e venature Jazz. Dunque, una sorta di Fusion cantata.
Questa dotta vena (di là di alcuni suoni) si concreta in certe sinuose melodie e armonie (a volte rinforzate da una minima sezione fiati), e in molti dei frequenti assoli strumentali.
Vanno evidenziate altre due caratteristiche. La prima concernente appunto le armonie: solitamente non sono così sofisticate nel loro nucleo principale (per esempio nelle strofe e ritornelli, ossia sezioni A e B). Infatti, soprattutto nelle strofe sono semi modali, alquanto statiche con riff o pochissimi accordi; è prevalentemente nelle transizioni (intro, ponti, special, code) che ci sono raffinate alterazioni e cromatismi, modulazioni ed estensioni.
La seconda è che la stragrande maggioranza dei brani è in tempo medio e in 4/4 (sovente shuffle), a volte medio-rapido altre medio-lento; praticamente assenti lente ballad (un’eccezione la bellissima Third World Man, ultimo pezzo del loro ultimo disco Gaucho).
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Già dal loro ottimo secondo disco Countdown to Ecstasy (’73) si possono riscontrare molte delle caratteristiche sopracitate (il primo Can't Buy a Thrill più rock e ruvido comunque un buon esordio); di qualità più intermittenti, seppur di considerevole livello, Pretzel Logic (’74), Katy Lied (’75) e Gaucho (’80).
Il loro apice lo hanno nel biennio ’76-’77 con The Royal Scam e il celebratissimo Aja.
Insomma, per chi volesse ascoltare della gran musica di non difficile ascolto, anzi, piuttosto cantabile ma allo stesso tempo intrisa di qualità, gli Steely Dan sono una delle realtà musicali più omogenee in cui ci si può imbattere, tra le più sicure: mai tarati intorno alla sufficienza.
 
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*Dopo molti anni il duo riprese l’attività per qualche tour e disco.
** Per i primi quattro dischi, pertanto fino al 1975, anche a causa di alcuni “infortuni” in studio, il rendimento timbrico non è da considerarsi poi così brillante; altresì in quel periodo anche altri artisti e gruppi avevano delle efficienze sonore di ottimo impatto.
Comunque è azzardato (oltre che complicato) stabilire un concetto di oggettiva qualità timbrica di un prodotto artistico, in special modo quando si tratta di musica prevalentemente elettrica: la libertà dell’espressione artistica è predominante, dunque le scelte timbriche e di missaggio sono sempre ineccepibili. Perciò più che registrato-missato bene/male ecc., si possono descrivere gli effetti di resa sonica dei vari strumenti sia singolarmente sia insieme nella costruzione del complessivo scenario acustico. Sempre al netto dell’iper soggettivo mi piace/non mi piace, s’intende.
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    Carlo Pasceri
    Chitarrista, compositore, insegnante di musica e scrittore.


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