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Libro Eroi Elettrici

Red Clay di Freddie Hubbard... e il Jazz trova nuove strade

10/11/2018

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In America, si sa, l’ibridazione è di casa. E (segnatamente negli USA) uno degli esiti è stato la nascita nel Novecento del Jazz e del Blues. Successivamente è capitato che il Jazz e il Blues siano ulteriormente mutati fondendosi con altro; e tra loro.
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Sono sorti altri generi e stili pure alquanto popolari cantati e ballerecci (R&B, Soul, R'n'R, Funk), e una somma condensazione di ciò, prevalentemente strumentale e “di ascolto”, è stata la Fusion, che a cavallo tra gli anni ’70 e ’80 ha vissuto il suo parabolico decennio.
Il suo “concepimento” è stato negli anni ’60 per opera di eminenti jazzisti che hanno tentato alcune particolari mescolanze, pure stimolati dalla nascita dell’elettrico Rock (e dal suo enorme successo) e quindi da alcuni produttori musicali.
Il più importante di questi fu Creed Taylor, che dopo aver lavorato in case discografiche come la Verve e la A&M, ne ha fondata una propria: la CTI (Creed Taylor Inc.).

Dunque, pur considerando che sul finire degli anni ’60 ci furono alcuni ottimi dischi di fusione*, nel gennaio del 1970 si riuniranno quattro giovani leoni del Jazz moderno per registrare in tre giorni una tappa fondamentale di una ulteriore ibridazione del Jazz: per Red Clay Freddie Hubbard chiamò a sé Herbie Hancock (piano elettrico e organo), Ron Carter (basso elettrico e contrabbasso) e Joe Henderson (sax tenore e flauto); sembra che avrebbe dovuto esserci Tony Williams alla batteria, ma declinò l’offerta e raccomandò l’impiego di un appena ventenne: Lenny White.
Red Clay, rispetto ad altri dischi di questo particolare tipo di crossover musicale, sorta di “neo-jazz” che in quegli anni stava maturando, non è l’alto esercizio di maestri improvvisatori che un po’ elettrificatosi applicano meccanici ritmi binari a strutture armonico-melodiche di stampo modale oppure blues; e nemmeno sfrutta l’adattamento di qualche canzone pop o rock.
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Red Clay è un’opera eterogenea che evita la maggior parte di quegli elementi compositivi e conseguenti cliché: Hubbard e i suoi innestano in un tessuto originario di semplici temi di natura hard-bop e relative serie di accordi (si riconosce nel pezzo Red Clay lo sfruttamento di quella di Sunny), un linguaggio preminentemente ritmico e sincopato; quindi tutte le componenti compositive, melodiche (i temi spesso armonizzati dei fiati), armoniche (gli accordi di Hancock) e prettamente ritmiche (le scansioni propulsive di White), modellano una musica dal sapore diverso rispetto alle coeve opere crossover.
È una sintesi che in quattro lunghi brani, oltre a improvvisazioni magistrali da parte di tutti, prevede ritmi funky (Red Clay), jazz-valzer e binari terzinati (Delphia), swing da medi a rapidissimi (Intrepid Fox e Suite Sioux), pure con modernissime quanto precisissime polimetrie (White nel finale di Suite Sioux). Peraltro si ha pressoché tutto questo inserito, in modo fluidissimo, nei circa otto minuti di Suite Sioux.
Insomma, l’importanza di Red Clay è di aver fornito ai susseguenti artisti interessati all’estrema ibridazione dei generi una piattaforma ulteriore per innalzare il Jazz e dintorni**, che poi sarà chiamata Fusion.
Va da sé che un plauso particolare merita Lenny White, che si dimostrò all’altezza della situazione, fornendo impulsi tanto precisi quanto duttili ed elastici: oltre alla già citata Suite Sioux, lo scioltissimo swing di Intrepid Fox e il particolare groove binario di Red Clay, apparentemente semplicissimo, che tra rivoltamenti, raddoppi di tempi e gli inserimenti di rapidissimi ornamenti terzinati sul rullante, deve aver dato soddisfazione al nume tutelare Tony Williams per averlo raccomandato al suo posto.             
 
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* Di là dei fondamentali Crusaders (all’epoca The Jazz Crusaders), tra i nomi che iniziavano a imporsi in questo particolare crossover musicale c’era quello del vibrafonista Roy Ayers, nel 1969 pubblicò l’ottimo “Duddy Bug and the friends”. Per tutti gli anni ’70 dette alle stampe notevoli dischi di carattere fusion, una deriva easy qua e là cantata e quasi ballereccia, precorritrice dell’acid jazz degli anni ’90.

**Purtroppo nel versante Rock non c’è stata una fronda di musicisti in grado di ibridarsi in questo modo: sarebbe stato un ulteriore passo in avanti per la musica moderna.
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    Carlo Pasceri
    Chitarrista, compositore, insegnante di musica e scrittore.


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