Carlo Pasceri
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Libro Eroi Elettrici

“Revolver” e “The Piper”, quando il capolavoro è reale!

5/8/2016

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Capolavoro! Oggigiorno si fa troppo presto a dirlo; spesso impropriamente e a tutti i livelli, a cominciare da quello lessicale. Un perfetto abuso: proferire questa parola in modo così frequente, che è diventato un modo di dire, è quasi sempre una totale contraddizione, svilendone così il suo importante significato*.
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Revolver (1966) e The Piper at the Gates of Dawn (1967) sono due dei capolavori realizzati da Beatles e Pink Floyd nel corso della loro attività. Dunque anche capolavori assoluti nel loro ambito. ​E nel sostenerlo, di là dell’inflazionato termine, sappiamo di essere ben poco eccentrici. È cosa conclamata. 
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Revolver è un capolavoro dei Beatles, la loro seconda vetta di metà carriera, svoltarono con questo disco verso un uso sempre più massiccio dell’elettronica e dello studio di registrazione intesi come strumenti creativi (nonostante gli studi londinesi erano, e rimasero, indietro a livello tecnologico rispetto a quelli americani, i Fab Four riuscirono comunque a fare meraviglie).
Dunque i Beatles, insieme con George Martin e i suoi collaboratori, estesero l’esperienza musicale non solo a livello di brillanti e originali partiture musicali di melodie con accordi e ritmi emessi da strumenti più o meno convenzionali, ma pure con l’ausilio di altri strumenti (come l’esotico Sitar) e soprattutto con manipolazioni dei suoni e delle forme musicali sia in fase di registrazione dei nastri sia dei nastri stessi in fase finale di missaggio e masterizzazione. Alcune volte sono facilmente percepibili, altre meno, ormai il nuovo e smaliziato nostro orecchio degli anni 2000, ci fa sembrare tutto scontato se non ingenuo, ma quelli erano tempi pioneristici: avevano poco o nulla in termini di tecnologie e di modelli a riferimento; erano l’avanguardia.
La loro musica cominciò a essere effetto delle sonorità, un dinamico organismo nuovo e complesso che stabiliva un nuovo orizzonte di senso biunivoco: sia per i compositori che per il pubblico. (Naturalmente anche altri, soprattutto negli USA, si stavano organizzando in tal senso e proseguirono alla grande su questa strada, uno su tutti Frank Zappa.)
Insomma, con Revolver, musica non più solo come suoni denotati da altezze astratte, determinate su carta o in mente, o abbozzate su pianoforti e chitarre, ma sempre più interdipendente e interagente con timbri e quant’altro derivanti da alterazioni elettroniche (o meccaniche) che li sottoponevano a trasformazioni fisiche.
​Poi ci fu Sgt. Pepper, a consolidamento, e tutto il loro meraviglioso seguito; e i Pink Floyd… 


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The Piper at the Gates of Dawn è il disco d’esordio dei Pink Floyd ed è più di un loro capolavoro, è preziosissimo perché è l’unico con la totale impronta di Syd Barrett (partecipò pure al secondo, però in ombra e affiancato da David Gilmour).
Anche se nelle successive, notevolissime, opere i Pink Floyd hanno mantenuto l’impronta visionaria di Barrett (anche gli altri valevano!), ne hanno sempre smussato l’acida potenza deflagrante e graffiante, diluendone la caustica propensione all’uso quasi imprevedibile di suoni rumoristici con più calcolate traiettorie; fase Gilmour anche visioni pastorali, mielate, a volte banali parti di chitarre acustiche, slide ondulanti e cinguettii… Barrett a volte più che misterioso, quasi pazzo, libero.
Il suo sfuggire dalla comune morale, da una ristretta etica, lo ha spinto verso un’estetica svincolata da canoni consolidati, traducendo ciò con eccessi che però sono lontani da quelli fricchettoni e confusi così tanto alla moda in quell’epoca piena di hippie e droghe. La vertiginosa e ossessiva coerenza delle sue aggressive bordate chitarristiche, un po’ sinistre, avevano forse un riscontro anche nella sua solitudine che divenne a mano a mano totale, astrale.
Volumi eccedenti, apparentemente caotici, sospensioni inesplicabili cariche di enigmi, l’evoluzione della musica si può concepire come il progressivo trionfo delle note sul rumore e il silenzio, tuttavia i Pink Floyd reintroducono nella loro musica quote importanti di silenziosità e frastuoni perfettamente calibrati. Il mondo che appare non è la realtà, solo ombre e immagini generate chissà come, e che Barrett insieme agli altri compagni ha reso concreta energia musicale, magia sonica… No letargia lisergica, ma liturgia cosmica.
The Piper è l’atto di nascita di un gruppo che è riuscito, nonostante la perdita di Barrett, a far divenire il Rock quello che il Jazz era già divenuto con Sun Ra: un’apoteosi.

* Capolavoro, per definizione, dovrebbe riferirsi alla migliore delle opere di qualcuno, in questo caso di artista (o gruppo) musicale. Solo in rare occasioni ci può essere più di un capolavoro nella carriera degli artisti; e può accadere vuoi per coincidenza di vette di qualità vuoi per oggettive diversità stilistiche delle espressioni che ne giustificano l’uso. Altresì potrebbe addirittura riferirsi non relativamente ma in assoluto, e allora la prudenza nell’uso di questo termine dovrebbe aumentare esponenzialmente.  
​
Ai Pink Floyd ho dedicato il libro sugli "anni sperimentali 1967-1972"

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    Carlo Pasceri
    Chitarrista, compositore, insegnante di musica e scrittore.


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