Si sa, in un gruppo rock, ancor prima della qualità intrinseca dei pezzi, conta soprattutto l’abilità dei cosiddetti front-man ossia cantante e chitarrista, e i Patto, oltre ad avere un ottimo cantante (e ritmica), aveva uno straordinario chitarrista, che scriveva la maggior parte dei brani e occasionalmente si esibiva in assoli di vibrafono. Ollie Halsall era un chitarrista di altissimo rango che copriva benissimo tutti i settori esecutivi: assoli schiettamente rock, rapidissime “fughe” jazz, accompagnamenti ad accordi, “droni” a note singole, riff, tutto perfettamente al servizio dei vari brani e non mera esibizione delle sue enormi capacità.
Oltre una pregevole inventiva Halsall aveva dei fondamentali tecnici solidissimi (plettrato, bending e timing), un fluidissimo e insistito legato col timbro saturo che, insieme ad un’eccezionale velocità, faceva sembrare le sue lunghe frasi come quelle di un agilissimo flauto o sax soprano. Tecnica che oggi è diventata patrimonio acquisito dei chitarristi che però riconoscono al gigante Allan Holdsworth, e non ad Halsall, la primogenitura. In quegli anni solo lui suonava così (ma Holdsworth gli stava ben alle costole…).
I Patto dunque produssero Rock ad ampio raggio in termini di ritmi, tempi, armonie e strutture, ma con un impatto elementare, quasi grossolano, dato dai pochi colori timbrici usati e dalle linee melodiche cantate, alquanto semplici.
I primi due dischi sono due purissimi diamanti rock che rimandano una luce che è la breve ma brillante scia della loro nave-cometa indicante la direzione giusta per seguire il lungo e tortuoso percorso del Rock più elevato.