È diverso dalla Classica, dal Rock, dal Funk ecc. per una precisa caratteristica: la grande differenza che esiste nelle proporzioni di variazioni estemporanee (improvvisazione) del prestabilito brano da eseguire.
Per il Jazz, questa proporzione deve essere 0 a 100, ossia il 100% di potenziale d’abilità d’improvvisare variazioni musicali.
Anche perciò il Jazz è estremamente affascinante: “artistico”.
Dunque il principio vitale per il Jazz* è avere musicisti in grado di affrontare i brani con quel tipo di elasticità, per una sofisticazione massima della musica data (almeno in potenza): poi ognuno avrà capacità, abilità e volontà differenti; anche nel tempo.
Una sera si varieranno molti accordi scritti, un’altra meno gli accordi e più il ritmo, un’altra ancora la melodia ecc.
Questo straordinario prerequisito non permette a molti musicisti, anche valenti, di suonare del Jazz.
Pure per questo motivo esistono molti dischi live nel Jazz, quello dal vivo è un banco di prova fondamentale e allo stesso tempo una appetibile opportunità discografica, giacché, in teoria, ogni volta la musica è così tanto differente, che l’appassionato è spesso e volentieri interessato a ogni performance.

Al Lincoln Center, quel giorno, Davis, Williams, Hancock, Coleman e Carter si esibirono per beneficenza e Miles pretese che suonassero gratuitamente, ma non tutti erano d'accordo.
Davis fu però inflessibile e, a suo dire, l'arrabbiatura tra i componenti del gruppo creò una tensione che "fu uno dei motivi per cui ciascuno suonò con tanta intensità" (dall'autobiografia di Miles Davis).

Il primo disco con i brani più lenti: oltre “My Funny Valentine”, ci sono “All of You”, “Stella by Starlight”, “All Blues” e “I Thought About You”. Versioni estesissime.
In particolare nei brani My Funny, Stella e Thought si può ascoltare un Davis in stato di grazia: dinamiche, nuances, accelerazioni, parafrasi, citazioni.
Assolutamente superlativo.
Gli altri, in special modo Tony Williams e Herbie Hancock, sono all'altezza del “capo”.
Il secondo disco contiene invece i brani più rapidi eseguiti durante il concerto, alcuni portati quasi al parossismo: “So What”, il blues “Walkin’”, i bellissimi e più complessi “Joshua” e “Seven Steps to Heaven”, l’impegnativo “vecchio” “Four”, e il meno bello e brillante “There is No Greater Love”; più la sigletta di chiusura “Go-Go”.
Per quanto riguarda le performance di Davis, straordinarie quelle in “So What”, “Walkin’” e “Joshua”.
Peraltro l’opera gode di una registrazione a livello del suo status artistico: eccezionale.
Questi due dischi sono nel solco di un Jazz legato a stilemi ortodossi, ed è per Davis, l’apogeo di quanto aveva fatto fino allora; la svolta ci sarà di lì a qualche mese con l’entrata di Wayne Shorter: il secondo quintetto di Miles Davis segnerà pagine fondamentali del Jazz moderno.
*Le cosiddette Big Band o simili (peraltro pochissime in quantità) hanno naturalmente meno bisogno di stimabili musicisti performer in questo senso e più bravi esecutori dello spartito.
I capolavori di Miles Davis "Kind of Blue" e "Bitches Brew" li ho analizzati nel libro Dischi da leggere - Collezione n.1.