Tutte uniche, meravigliose, hanno in qualche modo e con quote naturalmente differenti, sintetizzato le grandi lezioni del Jazz e R&B, riequilibrando i piani sonori, rendendoli molto più mutevoli e raffinati, offrendo molta più varietà e sfumature tra luci e ombre, con controluci e penombre, e quindi sfondi e figure: fino allora era stato tutto alquanto rigido e fisso nel ruolo musica-sfondo/figura-cantante.
Poi lei, Bjork, algida, e di nuovo a rimescolare le carte per un nuovo gioco; ha, dopo l’ottima esperienza del gruppo The Sugarcubes di fine anni ‘80, realizzato nel decennio dei ’90 una carriera di grande qualità; e anche quantità di successo che le è stato riconosciuto e tributato sia in termini di critica che di dischi venduti. (Ha continuato pure nel primo decennio del nuovo secolo a produrre ottimi dischi.)
La sua musica è nuova, figlia della tecnologia, usata non tanto come un pennellone per stendere mani pesanti di vernice e cromature sulla carrozzeria, quanto per disegnare nuove e affascinanti linee aereodinamiche di una musica che a volte si è imparentata con la Dance-techno e anche con l’Avanguardia classica; talvolta le ha congiunte.
Canzoni e brani ellittici, che poco hanno in comune con il recente passato delle sue eccezionali ascendenti, come il suo stile e tecnica di canto: precisa, chirurgica, ma non priva di vibrazioni vitali, che tocca le corde più intime di chi è disposto a sintonizzarsi sulle recondite frequenze di cotanta novità; emozioni che rimangono a lungo, perché profonde, non epidermiche e declinanti rapidamente come quelle suscitate dallo stile soul - r&b. Stile musicale e canoro con coordinate Pop che, con la ribalta di Whitney Houston a metà degli ’80 (nipote di una grande cantante coeva della Franklin, Dionne Warwick), sarà ancor più imitato, e tuttora vigente; ahinoi…
Bjork sta alla Houston come Robert Fripp sta a Eric Clapton.