Carlo Pasceri
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Libro Eroi Elettrici

Hancock, Hubbard, Carter e Williams: poker d'assi per Empyrean Isles

17/6/2020

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Questo disco di Herbie Hancock pubblicato nel 1964 ha la mia età, ma non è certo per questo che ne scrivo oggi. Empyrean Isles è il quarto disco in studio di Hancock ed è un altro di quei dischi che ha contribuito ad ampliare la grandezza del Jazz, imprimendo ulteriori traiettorie a ciò che in questo genere gli artisti a cavallo tra i Cinquanta e i Sessanta stavano compiendo, andando oltre quella coniugazione stilistica chiamata hard-bop (e soul-jazz): la svolta modale e free.
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Dopo i primi due dischi Takin' Off (’62) e My Point of View (’63) tanto buoni quanto ortodossi coi quali il giovane Hancock si fece notare, conseguendo addirittura un ottimo successo col pezzo di apertura, Watermelon Man, del suo album di esordio, pubblicò nel marzo 1964 Inventions & Dimensions che è uno dei suoi dischi più sperimentali, ove amalgamava ritmi e suoni afro-cubani con il modale e con un linguaggio che teneva conto della “Third Stream” ovvero incline a fondersi con il contemporaneo classico.
Empyrean Isles è una matura sintesi dei primi tre dischi. Quattro brani per un quartetto di giovani stelle: oltre a Hancock al pianoforte c’è Freddie Hubbard (cornetta), Ron Carter (contrabbasso) e Tony Williams (batteria).

One Finger Snap e Oliloqui Valley sono votati a un moderno hard-bop. Il primo è fondato su una brevissima e irruente frase tematica in veloce swing, poi apertura armonica. Si susseguono i soli di Hubbard e Hancock su semplici armonie, poi Williams, ripresa di un frammento tematico (la seconda parte della frase originaria), dunque brevissimo, chiusura. 
Oliloqui Valley apre con riff di una battuta di Carter afro latino, velocità media, con Williams che “spazzola” il rullante, note lunghe di Hubbard, sullo sfondo HH che armonizza; la seconda sezione prevede il raddoppio di velocità in swing e ancora semplici armonie e note distese di Hubbard. Poi il divenire dei pregevoli soli di piano e cornetta. Anche Carter per un minuto e mezzo, prima di riprendere come l’inizio il riff e quindi riesposizione struttura tematica e conclusione, però ancora su un’improvvisazione di Hubbard e in lenta dissolvenza con la ritmica non più in swing.
Cantaloupe Island sarà la hit definitiva di Hancock, ricalca Watermelon Man (e Blind Man, Blind Man), perciò un’aggiornata versione di quel soul-jazz di Horace Silver e poi Art Blakey, e a cascata molti altri, che è stato cavalcato alla grande.  Riff ad accordi di piano (con parte obbligata anche al basso), groove sincopato e binario di batteria; semplice tema. Assoli sulla stessa e invariata struttura, prima Hubbard poi il leader. Riesposizione come inizio (un po’ velocizzata), chiusura in dissolvenza.
The Egg quasi quattordici minuti di jazz modale e free; sperimentale. Riff del piano, tempo in 3/4, ostinati ritmici, Hubbard con una breve frase tematica, poi si inerpica in assolo con linee rapide e ostinate e qualche acuta sospensione...
La trama progressivamente si scioglie, si apre a una libertà vigilata, dopo un paio di minuti quasi non si riconosce più. A quattro minuti è ripreso il riff di piano e tema, ma a cinque tutto si ferma. Carter solo con l’archetto, interventi sparuti di piano e percussioni. A sette minuti nota grave e pianoforte al proscenio, per po’ è solitario, poi è raggiunto da Carter e Williams e si innesca una sezione più convenzionale, in swing. Ma per poco, si riapre tutto, ancora un controllato free, improvvisazioni che si incrociano, susseguono e sovrappongono. A undici minuti è il turno di Williams prima con le spazzole poi con le bacchette per un peculiare assolo che termina con un pattern di 2/4 ove Hancock a 12’48” si sovrappone col suo riff in 3/4 (seguito da Carter), facendo ripartire finalmente anche Hubbard e portare a termine il pezzo anche questo però in dissolvenza.
Dunque nulla di davvero nuovo in Empyrean Isles, la sua grandezza risiede che qui, in una singola opera, è condensato molto del Jazz più moderno, ma non come un manualetto di traiettorie, declinazioni e influenze generiche, bensì in un’originale dimensione di sintesi di temi e improvvisazioni che si succedono e intersecano ai massimi livelli. 
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    Carlo Pasceri
    Chitarrista, compositore, insegnante di musica e scrittore.


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