Carlo Pasceri
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Libro Eroi Elettrici

Free Hand, il vessillo dei Gentle Giant è ancora alto

24/7/2020

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La maggioranza delle band rock intorno alla metà dei Settanta è entrata in crisi, ma il settimo disco dei Gentle Giant, Free Hand pubblicato nel 1975, è un ottimo album che avrà un lusinghiero riscontro di vendite e di critica: raggiunsero l’acme anche come gruppo dal vivo.
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È un gruppo (peraltro di polistrumentisti) rimasto insuperato in termini di densità di complicanze musicali sia compositive sia esecutive, pur avendo rilevanti “ganci” melodici e di riff rock che hanno permesso loro di ottenere un buon successo. La loro trama musicale è tanto corposa quanto, a volte, coinvolgente a livello più superficiale, anche perché suonano con tanta precisione quanto con calore e personalità.
La band sin dal primo storico disco omonimo del 1970 ha connesso in modo del tutto inedito riff rock con cantabili melodie, ritmi e metri complessi con pregevolissimi contrappunti vocali e strumentali degni di Bach e dintorni. Ma non solo…
Già con la seconda opera dell’anno successivo, Aquiring The Taste, la più ambiziosa, si è capito che Gentle Giant sarebbe stato un gruppo che avrebbe lasciato segni indelebili nel Rock giacché incrementarono notevolmente il tasso di qualità della loro musica.
E hanno brillantemente proseguito con la stessa stupefacente formula, sviluppando ulteriormente il loro incomparabile approccio medieval-rinascimentale al Rock (inserendo qua e là pure qualche suggestione novecentesca) fino a questo Free Hand*. 
​
Sette brani che il quintetto distribuisce in modo tale che i pezzi più grintosi e “semplici” siano centrali: l’ultimo del primo lato del vinile (Free Hand) e l’inizio del secondo (Time To Kill); proseguendo con quello più lineare del disco: His Last Voyage.
L’apertura è affidata a quello che sarà un altro loro cavallo di battaglia live, Just The Same: saltellante e cantabile quanto intricato sin dall’inizio con la stratificata polimetria tra le parti di tastiere, chitarra e voce in 7/4, basso e fiati in 6/4 e batteria in 2/4.
Il seguente On Reflection è un peculiare brano giacché fondato su una canonica forma di fuga a 4 voci.
​La fuga è la forma più rigorosa e complessa di contrappunto imitativo, qui è ridotto all’esposizione con soggetto, risposta e controsoggetto, ma arricchito da interazioni e sviluppi strumentali e vocali. Superbo.
Chiude la prima parte del disco il già citato pezzo Free Hand: sempre più in evidenza il trascinante basso di Ray Shulman (insieme col fratello Derek e Kerry Minnear autore di tutti i brani).
Time to Kill è incalzante e d’impatto; sembra più “leggero” di quel che è, con i suoi metri e ritmi dispari, le sue dissonanze “thrilling”.
His Last Voyage inizia come un pezzo di moderno trio cameristico per basso, chitarra elettrica e vibrafono a canone polifonico, per poi mutare in una peculiare canzone di carattere medieval-rinascimentale. Continua con un inserto modale di doom rock, cui segue un opportuno assolo di chitarra elettrica.
Talybont breve strumentale, specie di danza medievale che sarebbe dovuta essere impiegata per un film su Robin Hood (Robin and Marion): flauti, clavicembalo, percussioni e quant’altro di acustico con tanti strumenti elettrici. Suggestivo.
Mobile è un brano parecchio articolato, seppur basato su un confortevole tema da folk britannico col quale principia con violino e chitarra acustica. Anche nello svolgimento non possono non venire in mente i Jethro Tull, al netto delle rispettive enormi personalità.
L’inserto di raccordo a 1’29” e la breve ma densa sezione da 2’25” a 2’42” sono quasi un contrappeso cronostorico di cotanta ispirazione tradizionale, essendo intrecci alquanto classico-novecenteschi.
Free Hand è un disco magnifico di un superbo gruppo al culmine della propria storia.
 
*Il successivo Interview segnerà quella che sarà una progressiva virata verso un rock ben più semplice.
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    Carlo Pasceri
    Chitarrista, compositore, insegnante di musica e scrittore.


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