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Libro Eroi Elettrici

Con 44 anni di ritardo... la recensione di "Santana IV"

11/4/2016

1 Comment

 
​Santana (I) 1969, Abraxas (II) 1970, Third (III) 1971; oggi, aprile 2016, Santana IV.
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Questo disco, realizzato 44 dopo la sua eventuale naturale nascita, si può “leggere” e giudicare in tre modi diversi:

  1. Come se oggi fosse il 1972, ovvero l’anno in cui a dar retta alle scadenze di allora sarebbe dovuto venire al mondo.
  2. Come invece è, procreato del 2016, pertanto con 44 anni di enormi esperienze accumulate da ciascuno dei protagonisti e, cosa ancor più importante, con 44 anni di musica mondiale che nel frattempo è accaduta.
  3. Come se nulla fosse, perciò senza eredità, ascendenti ecc., un puro prodotto musicale qualsiasi del 2016.
ImmagineLa band di Santana IV
​Riassunto minimo dei tre dischi di allora: il primo fu una grande novità nello scenario rock, perché musiche composte da moduli afro-cubani ritual-ipnotici (modali) con percussioni, chitarra elettrica e Hammond che tracciano (anche) strutture simili a (tonali) canzoni pop, screziate appena di blues e hard-rock, e zeppe di assoli. Nulla del genere si era ascoltato fino allora. Questa, alla grossa, la formula santaniana. Il secondo, sorta di messa a punto del precedente, con particolare attenzione a una produzione che fosse più raffinata ed elegante, però senza perdere spontaneità ed energia: missione compiuta. Il terzo, con l’entrata in squadra del giovanissimo e super elettrico chitarrista Neal Schon, furente summa dei due dischi precedenti, con un’energia quasi palpabile perché affatto vera, sincera, esito degli scontri interni della band, e non di mercantili calcoli stilistici (l’hard-rock stava affermandosi alla grande), ma allo stesso tempo mai disordinato e sempre molto sorvegliato nell’accuratezza esecutiva.
Dunque, questo quarto capitolo, che consta di ben 16 brani, riprende la formula di allora; ciò non è una novità perché, dopo una fecondissima parentesi di tre anni e qualche disco solista prettamente strumentale a suo nome tra fine settanta e metà ottanta, è dal 1975 (Amigos) che con alterne sfumature e fortune Santana aveva ripreso il primitivo percorso di brani cantati e strumentali di matrice fortemente latin, ma senza l’apporto degli originali membri del gruppo. La pretesa e pretestuosa novità è la riunione della band di allora, peraltro non integrale (per vari motivi).

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Pretestuosa perché in quel tempo era una band che aveva iniziato e procedeva tutti insieme, con un leader che tutto sommato non contava molto di più degli altri. Oggi non solo i rapporti di forza non sono confrontabili, ma soprattutto non è una vera band che ha vissuto on the road le tipiche esperienze e conseguentemente generato il materiale musicale (come concerti e relativi viaggi, amicizie e frequentazioni tra loro extra band ecc.); al netto dell’irreparabile perdita della giovinezza e quindi dell’ingenuità che donava genuinità a tutto. Fatta questa tara…
Il disco si apre con un minimo di coerenza stilistica, considerato come una prosecuzione di Third con Neal Schon. I primi due brani Yambu e Shake It afro rock, incentrati su riff e chitarre elettriche, similarmente a Batukà nel disco del '71... Segue (Anywhere You Want to Go): ormai scontatissimo latin rock su ritmo cha cha e qualche simpatico duetto tra Carlos e Neal sulla scorta di No One To Depend On (pure questo da Third). Poi pezzo strumentale (Fillmore East), che probabilmente vuole ricreare le atmosfere del tempo che fu, però quello pre-discografico; e ci riesce, ma rievocando una mistura tra Grateul Dead e Jefferson Airplane, più che gli stessi Santana. Love Makes The World Go Round cantato da Ronald Isley ha più continuità con alcune cose fatte dai Santana negli anni '80/'90, magre traduzioni del seminale brano Jingo contenuto nel loro disco d'esordio. Segue Freedom In Your Mind, pezzo cantato ancora da Isley, ed è il più R&B; gli assoli di chitarra sempre più interpolati da quelli di Rolie all'Hammond. Choo Choo praticamente un pezzo Dance con un ponte che rammenta qualcosa di Bowie.
Stiamo raggiungendo la metà disco con All Aboard, e con esso il patetismo più sfrenato: il brano, strumentale per chitarra classica ed elettrica, è sul modello di Samba Pa Ti, simile a I Love You Much Too Much presente nel disco Zebop, '81 (con una nota non precisa a 3'50”)... Equivale a un pezzo da cantanti neo melodici napoletani, con breve assolo finale. La scaletta prevede Caminando, un pezzo che si rivela finora il più energico e movimentato; con finale shuffle e citazione motivo dei Doors (Roadhouse Blues); non malaccio. Blues Magic altro pezzo atmosferico, sulle tracce di The Sensitive Kind (presente in Zebop) e Treat (primo disco). Lo strumentale Echizo è rapido e con tema e armonie vagamente ispaniche: versione light di Toussaint L'Overture (presente in Third). Leave Me Alone solita (in riferimento agli ultimi decenni) sua canzonetta cha cha. You And I ballatona melodrammatica, che vede protagoniste le chitarre elettriche di Santana e Schon e le tastiere: prima parte solo Santana e tastiere, poi altri strumenti e Schon.  Come As You Are pezzo che non sfigurerebbe in qualche selezione per qualche ballerina salsa. Il disco si chiude con il brano più lungo Forgiveness: semplice e quasi del tutto strumentale, dominato dalla chitarra di Schon che, irriconoscibile, mediante la leva, facendo il verso al Jeff Beck di The Final Peace e Where Were You, ci regala comunque qualche brivido lirico: principia in modo molto atmosferico su tappeto di tastiere... Poi pure Santana entra con qualche fraseggio... E' il brano meno santaniano quindi quello meno legato al suo passato.

​In riferimento ai tre possibili punti di vista asseriti all’inizio, sommariamente il giudizio su Santana IV:
  1. Se fosse coevo ad allora, pertanto prosecuzione dei primi tre, fatto salvo l'ultimo brano, chitarristicamente molto rilevante: totale involuzione.
  2. Come di fatto è, i Santana edizione 2016: totale involuzione.
  3. Come fosse una realizzazione musicale di un “anonimo” gruppo: prodotto commerciale di dubbio gusto e qualità; e di incerto futuro mercantile.

La band, a parte il bassista (e un percussionista), è quella di Santana III: Gregg Rolie alle tastiere e voce, Michael Shrieve alla batteria, Michael Carabello alle percussioni e Neal Schon alla chitarra. Aggiunti Benny Rietveld al basso e Karl Perazzo alle percussioni: sono con Santana dagli anni ’90. Purtroppo, oltrepassando la mediocrità dei brani, i contributi dei singoli musicisti non hanno fatto la differenza rispetto ad altri bravi professionisti, non hanno alcun peso nelle esecuzioni, sono anonimi, non c’è nemmeno un guizzo che nobiliti cotanta operazione. (E Ronald Isley, cantante di ottima fama nei ’60 con il gruppo R&B degli Isley Brothers, ospite in due brani, se l’è cavata appena…)
 
Annotazione a margine: in alcuni brani iniziali hanno lasciato dopo il finale voci e rumori, forse per indurre la spontaneità di un'intera band al lavoro... Mah!

Per conoscere il Santana del periodo migliore puoi leggere il mio libro Musica '70, o la monografia Santana: Love, Devotion & Surrender.
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1 Comment
bruno curiale
14/5/2016 17:56:14

beh in fin dei conti nulla da obiettare....ho amato troppo da ragazzo gli ammalianti riff chitarristici di questo messicano ma una cosa non capisco...ma perchè nessuno lo convince a smettere di offendere la sua stessa storia (forse dal vivo ha ancora senso vedi sacredfire) ma sono più di 30 anni che non ha niente da dire!!

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    Chitarrista, compositore, insegnante di musica e scrittore.


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