Solo una ristretta minoranza è riuscita a svincolarsi da questo ristrettissimo argine musicale (e verrebbe da dire divenuto talvolta concettuale) cui il ruolo del basso sembra condannato con la pattuita complicità della quantità e qualità creativa dei bassisti che in maniera invalsa sono ripartiti in tutto il mondo musicale.
Il grande apporto di bassisti jazz, come Scott La Faro, rock, come Paul McCartney, R&B/Funk, come James Jamerson e Larry Graham, è stato appunto quello di svincolare il basso da quei legacci.
Le evoluzioni e i complementi di questi "genitori" sono riscontrabili nei meravigliosi lavori di alcuni bassisti coevi o succeduti loro: non molti, ma, senza elencarli tutti, citiamo solo i più notevoli e manifesti: Miroslav Vitous, John Wetton, Stanley Clarke, Alphonso Johnson, Percy Jones, Anthony Jackson e Marcus Miller.
Altri minori negli stessi anni (‘60/’70) o negli ’80, hanno solo emulato pedissequamente alcuni di questi, frenando l’evoluzione.
La maggior parte, come già accennato in apertura, è ritornata al rigido ruolo limitato e limitante di un basso che segna le note fondamentali dello scorrere degli accordi o eseguire ciclici riff.
Certamente alcuni, dalla fine dei settanta per motivi diversi e con intensità differenti, si sono distinti ed elevati dalla stagnante e diffusissima mediocrità: Jeff Berlin, Tony Levin, Geddy Lee, Sting, Mark King, Victor Bailey, Alain Caron, John Patitucci, Stu Hamm, Christian McBride, Billy Sheenan, Flea, Les Claypool… ma beninteso che sono comunque minime parti dei loro grandi predecessori.
Il basso, in special modo quello elettrico, è uno strumento di un’importanza e di un potenziale straordinari, come appunto i bassisti nominati (e altri, come il sin troppo famoso Jaco Pastorius) ci hanno dimostrato, tuttavia sono parecchi decenni che non si hanno novità evolutive…
Speriamo che, almeno in questo decennio, uno o due bassisti riescano a essere più fantasiosi e plastici dei loro immediati predecessori.