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Libro Eroi Elettrici

Tubular Bells, analisi del prodigioso esordio di Mike Oldfield

25/5/2020

2 Commenti

 
Tubular Bells, pubblicato il 25 maggio 1973, è il primo album del britannico Mike Oldfield (e il primo della famosa casa discografica Virgin): per molti aspetti è un disco straordinario.
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L’opera è stata interamente composta da Oldfield nemmeno ventenne, che ha suonato la maggior parte dei numerosi strumenti (basso, chitarre, tastiere, glockenspiel, percussioni ecc.).
Interamente strumentale di là di qualche intervento (sparuti cori e qualche farfugliamento); senza batteria fuorché per una breve sezione di cinque minuti. 
Costituito soltanto di due lunghe parti senza soluzioni di continuità; specialmente la prima è formata da un’impressionante sequenza di pannelli e intarsi musicali che si succedono.
Ebbe immediatamente un’accoglienza trionfale da parte di critica e pubblico; contribuì alla sua fama l’adozione dell suo incipit come uno dei temi del celeberrimo film L’Esorcista.
È un disco che può essere assimilato a un concetto di suite orchestrale di musica classica, giacché Tubular Bells è formato da una continua successione di vari segmenti tematici; pressoché un pastiche.
Peraltro in termini di contenuti è da considerarsi un disco pienamente progressive: eurocentrico, non ha alcun rimando a musiche afroamericane (Blues, Jazz, Soul, R&R, Funk ecc.) o etnic-world. 
Il celebre attacco di pianoforte nel registro medio-alto del rapido motivo in 15/8 (7+8) in MI minore è poi affiancato polifonicamente da altri strumenti, pure da un bel giro di basso, che lo doppiano e armonizzano (e che ne stabiliscono l’area frigia). Successivamente un pianoforte armonizza con accordi discendenti col basso che lo segue e piramidalmente, proliferando dal seme iniziale, entrano ulteriori strumenti che generano una sinfonia polifonica: sorta di incantevole mosaico musicale che nel frattempo va ad assorbire il primo motivo primigenio fino in sostanza a farlo scomparire.
A 4’10” si cambia (siamo nello scorrevole 4/4) mediante una transizione che conduce ad una modulazione con un potente glissato accordale che poi, soprattutto tramite un tema cantabile (sembra) di mandolino, chitarra classica che lo puntella e pianoforte (che suona una piccola parte serrata vagamente simile a quella iniziale), ci porta in un altrove: potremmo pure essere a Sorrento…
Da qui in poi, per circa venti minuti, si affastella una gran quantità di motivi melodici di vario carattere e colore, con uno stupefacente assortimento di strumenti. A volte ci sono richiami a quelli precedenti, altre parafrasati e inframezzati da brevi interventi solistici di chitarra elettrica e acustica, cambi di tonalità e metro insieme (come la sezione a 7’50” in 7/4) con polifonie un po’ dissonanti.  
A sedici minuti si placa tutto e finalmente entrano in scena le campane tubolari su un accordo di organo…
Altra sezione con chitarra acustica e lentamente si risale la china della piramide mediante un riff che emerge a 17’22”, sul quale dopo circa tre minuti si innesta un tema melodico di dieci misure che sarà esposto e doppiato da molti strumenti (e un piccolo coro di voci femminili) per alcuni minuti fin quasi al termine. Tutti saranno introdotti da un maestro cerimoniere che li nomina per il gran finale in un discreto crescendo di questa prima e più importante parte del disco. Tuttavia a concludere è un solitario intervento di chitarra classica.
La seconda parte è più pacata e molto più semplice, gli intarsi sonici e i pannelli sono molto ridotti e si potrebbe comodamente riassumere in un “semplice” assetto costituito da quattro macro sezioni.
Principia con gli armonici di due bassi su cui s’inserisce un motivo quasi rinascimentale in 3/4, reminiscenza elettrica di un’antica danza, una dolce sarabanda; rapidamente s’infittisce la trama… Modula e lentamente si sviluppa in un vero e proprio tema di dodici misure. Breve ponte, dapprima chitarra classica e organo per un altro pannello (cui si aggiungono altri strumenti e velati cori femminili) che, seppur aumenti un po’ la velocità del 3/4, risulta un po’ malinconico… A quasi nove minuti altra mutazione dominata da organo, chitarra elettrica e timpani, il tema è ancora arcaico però il ritmo è marziale (metro in 4/4), poi aumenta, si infittisce per giungere al vero e proprio cambio sezione.
A quasi 12 minuti il pezzo con la batteria (Steve Broughton), grugniti e ululati: un brano rock (che poi si indurisce parecchio) con interessanti variazioni accordali, riff e interventi solistici di chitarre elettriche che pure si sovrappongono.
La terza macro sezione giunge quasi improvvisamente dopo la brusca frenata sull’accordo distorto a 16’30”. La lenta velocità e l’esiguità degli strumenti ci proiettano in un’altra dimensione; organo, chitarra e basso s’intrecciano in volteggi melodici (un po' scontati), Oldfield indugia lungamente in vari soli di chitarra elettrica pulita (anche qui si sovrappongono), qua e là con alcuni ottimi spunti…
Dopo quasi quattro minuti irrompe l’ultima sezione che altro non è che un arrangiamento di un tradizionale brano di danza britannico di fine Settecento usato anche per il cartone animato “Braccio di ferro”: stravagante conclusione di Tubular Bells.
 
Quello che risalta di quest’opera è l’azzeccato assetto generale tra sperimentazioni formali e connotative e quelle denotative. Le parti in sé non sono innovative ma come sono presentate sì.
La prima suite è uno stupefacente florilegio sonoro, di un tale barocchismo ossia di una ricchezza di spunti musicali e timbrici che se fossero stati anche innovativi nel linguaggio sarebbe stata con tutta probabilità eccessiva per il grande pubblico.
La seconda, diciamo più rinascimentale, pertanto con più “vuoti”, è artisticamente più debole perché ciò non è bilanciato da un linguaggio musicale più originale.
Mike Oldfield, che aveva iniziato come turnista (anche per il grande Kevin Ayers), ha poi continuato brillantemente una carriera cui non poco ha pesato questo prodigioso esordio.
2 Commenti
Davide
8/11/2023 11:15:21

Buongiorno,io pensavo che la Tonalità fosse in La minore,e non in Mi minore.

Rispondi
carlo pasceri
8/11/2023 14:38:09

Benvenuto Davide, e grazie per il commento perché consente un approfondimento armonico-melodico, cosa di cui sono sempre particolarmente contento.
Si può ben affermare che la fascinazione di questo brano sia anche data dalla strutturazione piramidale che nel suo divenire offre una peculiare enigmaticità modale-tonale.
Ciò perché dopo l’esposizione reiterata del motivo iniziale, che fa perno sulla nota Mi, la più bassa e ripetuta in una progressione scalare che tocca tutte le note (tranne il Fa) fino alla sua settima Re (ecco perché il motivo è in MI minore), quando entra il basso la nota iniziale e su cui fa perno è il La, per poi discendere scalarmente fino al Mi toccando il Fa: si è così generata una polifonia modale tra l’area di MI (minore frigio) e quella di LA (minore naturale): hanno le stesse note ma disposte gerarchicamente in maniera differente (modalità).
Dunque, motivo in MI, successivamente armonizzato (pure dai seguenti accordi esplicitati dal pianoforte) partendo dalla sua quarta, LA, realizzando così un’enigmatica sospensione-tensione, che è raro riscontrare in altre musiche, ancor oggi, e pure per questo il tanto tempo trascorso non ha consumato.

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    Chitarrista, compositore, insegnante di musica e scrittore.


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