Interamente strumentale di là di qualche intervento (sparuti cori e qualche farfugliamento); senza batteria fuorché per una breve sezione di cinque minuti.
Ebbe immediatamente un’accoglienza trionfale da parte di critica e pubblico; contribuì alla sua fama l’adozione dell suo incipit come uno dei temi del celeberrimo film L’Esorcista.
È un disco che può essere assimilato a un concetto di suite orchestrale di musica classica, giacché Tubular Bells è formato da una continua successione di vari segmenti tematici; pressoché un pastiche.
Peraltro in termini di contenuti è da considerarsi un disco pienamente progressive: eurocentrico, non ha alcun rimando a musiche afroamericane (Blues, Jazz, Soul, R&R, Funk ecc.) o etnic-world.
A 4’10” si cambia (siamo nello scorrevole 4/4) mediante una transizione che conduce ad una modulazione con un potente glissato accordale che poi, soprattutto tramite un tema cantabile (sembra) di mandolino, chitarra classica che lo puntella e pianoforte (che suona una piccola parte serrata vagamente simile a quella iniziale), ci porta in un altrove: potremmo pure essere a Sorrento…
Da qui in poi, per circa venti minuti, si affastella una gran quantità di motivi melodici di vario carattere e colore, con uno stupefacente assortimento di strumenti. A volte ci sono richiami a quelli precedenti, altre parafrasati e inframezzati da brevi interventi solistici di chitarra elettrica e acustica, cambi di tonalità e metro insieme (come la sezione a 7’50” in 7/4) con polifonie un po’ dissonanti.
A sedici minuti si placa tutto e finalmente entrano in scena le campane tubolari su un accordo di organo…
Altra sezione con chitarra acustica e lentamente si risale la china della piramide mediante un riff che emerge a 17’22”, sul quale dopo circa tre minuti si innesta un tema melodico di dieci misure che sarà esposto e doppiato da molti strumenti (e un piccolo coro di voci femminili) per alcuni minuti fin quasi al termine. Tutti saranno introdotti da un maestro cerimoniere che li nomina per il gran finale in un discreto crescendo di questa prima e più importante parte del disco. Tuttavia a concludere è un solitario intervento di chitarra classica.
Principia con gli armonici di due bassi su cui s’inserisce un motivo quasi rinascimentale in 3/4, reminiscenza elettrica di un’antica danza, una dolce sarabanda; rapidamente s’infittisce la trama… Modula e lentamente si sviluppa in un vero e proprio tema di dodici misure. Breve ponte, dapprima chitarra classica e organo per un altro pannello (cui si aggiungono altri strumenti e velati cori femminili) che, seppur aumenti un po’ la velocità del 3/4, risulta un po’ malinconico… A quasi nove minuti altra mutazione dominata da organo, chitarra elettrica e timpani, il tema è ancora arcaico però il ritmo è marziale (metro in 4/4), poi aumenta, si infittisce per giungere al vero e proprio cambio sezione.
A quasi 12 minuti il pezzo con la batteria (Steve Broughton), grugniti e ululati: un brano rock (che poi si indurisce parecchio) con interessanti variazioni accordali, riff e interventi solistici di chitarre elettriche che pure si sovrappongono.
La terza macro sezione giunge quasi improvvisamente dopo la brusca frenata sull’accordo distorto a 16’30”. La lenta velocità e l’esiguità degli strumenti ci proiettano in un’altra dimensione; organo, chitarra e basso s’intrecciano in volteggi melodici (un po' scontati), Oldfield indugia lungamente in vari soli di chitarra elettrica pulita (anche qui si sovrappongono), qua e là con alcuni ottimi spunti…
Dopo quasi quattro minuti irrompe l’ultima sezione che altro non è che un arrangiamento di un tradizionale brano di danza britannico di fine Settecento usato anche per il cartone animato “Braccio di ferro”: stravagante conclusione di Tubular Bells.
Quello che risalta di quest’opera è l’azzeccato assetto generale tra sperimentazioni formali e connotative e quelle denotative. Le parti in sé non sono innovative ma come sono presentate sì.
La prima suite è uno stupefacente florilegio sonoro, di un tale barocchismo ossia di una ricchezza di spunti musicali e timbrici che se fossero stati anche innovativi nel linguaggio sarebbe stata con tutta probabilità eccessiva per il grande pubblico.
La seconda, diciamo più rinascimentale, pertanto con più “vuoti”, è artisticamente più debole perché ciò non è bilanciato da un linguaggio musicale più originale.
Mike Oldfield, che aveva iniziato come turnista (anche per il grande Kevin Ayers), ha poi continuato brillantemente una carriera cui non poco ha pesato questo prodigioso esordio.