Ci sono pezzi di musica che sembrano magici, lo sentiamo; ma il perché è di solito occulto.
Tecnicamente è un brano all’apparenza semplice soprattutto per quanto concerne la forma: una ballata molto lenta composta di pochissime note e racchiusa in 10 battute, senza lungaggini date da ripetizioni o sottosezioni che determinano le classiche ridondanze tipiche delle canzoni pure jazzistiche di strofa e ritornello (anche dette semplicemente A e B). Ma questa non è certo una novità: tutti i blues sono così (e anche Solar, brano di Davis del’54 che può essere appunto considerato una via di mezzo tra un blues e una canzone circolare perché è composto di 12 battute senza intro e coda e con delle classiche cadenze modulanti). | Blue in Green è un brano estremamente circolare e quindi privo di angoli di qualsivoglia natura. |
Blue in Green è un brano estremamente circolare e quindi privo di angoli di qualsivoglia natura, e questo è conseguenza di molti fattori: la forma strutturale appunto prevede delle sezioni a specchio. Si evolve con intro, tema, assoli, tema, coda, quindi è come arrivare agli assoli e tornare indietro, un palindromo (ancora niente di singolare). Ma anche all’interno della sezione assoli abbiamo una sequenza di simmetria a specchio: tromba, piano, sax, piano, tromba, e se aggiungiamo che il brano inizia e finisce dal piano, l’intera successione diventa piano, tromba/tromba, piano, sax, piano, tromba/tromba, piano. Il palindromo comincia a essere ragguardevole. Dunque la circolarità del brano non è data semplicemente da ciclicità e dal livellato contenitore formale di 10 battute, ma da geometriche simmetrie fornite da assegnate serie di sezioni strutturali concretate dagli strumentisti interpreti di ruoli e pertanto con pure stabilite successioni di peculiari articolazioni e timbriche.
Per di più l’armonia pur basandosi sulle abusate formule cadenzali lo fa in modi e tempi particolari. Infatti, la serie armonica è congegnata per ottenere un’allusiva forza centrifuga che tende a un volubile tono principale (Dm) sempre e subito messo in discussione da fini slittamenti gerarchici verso altre toniche parenti. Ci sono ben quattro centri tonali armonici che si rincorrono per cinque volte in pochissime battute: Gm Dm, Bb, Dm, Am, tutti affini e con il Bb, l’unico maggiore, in mezzo come a voler dividere simmetricamente le modulazioni. Quindi gli accordi sono lì che abitano in una specie di limbo dato anche da connessioni gerarchiche sempre instabili. Inoltre se esaminiamo la sequenza oggettiva della successione delle fondamentali degli accordi, si deduce che si muovono tutte con spaziature di tono e quarte (o quinte), mai di terze e di semitoni: questo dona un ulteriore senso di sospensione e neutralità, e non di slancio/stasi e tensione/risoluzione, fatto salvo il passaggio Bb-A (semitono) che (guarda caso) sta a metà del brano come a dividerlo specularmente.
La melodia non è mai ripetuta uguale, appena somigliante con se stessa e sempre mutevole; mai giace pesantemente sulle fondamentali degli accordi; sembra un assolo e l’assolo sembra una melodia. Per queste peculiarità sembra possa procedere in un flusso indeterminato e indeterminabile di spazio e di tempo, ed è declamata dalla tromba con la sordina pertanto fucina di metallici suoni che, come pugnalate, si conficcano nel cervello prima che nel cuore.
Da rilevare comunque una continuità sonica: tutti i solisti non toccano mai dei rispettivi strumenti registri di basse frequenze brontolanti e gorgoglianti, ma suonano frequenze medie e medio-alte che sono più precise e mondate da velature e sporcature di armonici: sono suoni più lisci e puri, meno terragni, più aerei. La batteria è esclusivamente suonata con le spazzole sul rullante: il suono è quindi continuo, frusciante, e medioso come un respiro; il contrabbasso è l’unico strumento che pulsa e profila le note nel registro medio-basso. Nel suono non sono presenti riverberazioni di sorta accrescenti artificiali sonorità echeggianti, ma tutto è asciutto, netto, reale; solo il pianoforte dona un po’ di profondità e coda sonora poiché ripreso a distanza (Evans usa pure i pedali).
In effetti il valore temporale delle cellule metriche (le battute) varia: se abbiamo il valore di 4/4 nella mensurale griglia-spartito eventualmente un (solo) accordo dentro una battuta vale 4/4 (con conseguente specifica durata temporale assoluta del succedersi degli accordi e quindi la velocità "armonica").
Dunque, per l’intro il valore è dimezzato (2/4), che dura 16/4 cioè 8 battute (sono eliminate le prime due dello schema di dieci), poi 4/4 per l’entrata di Miles (rallentamento), poi 2/4 per l’assolo di Evans e di Coltrane (accelerazione), poi addirittura di 1/4 quando ritorna l’assolo di Evans (ancora accelerazione), per poi quadruplicare (4/4) per il ritorno di Miles, pertanto l’effetto è di quadruplicato rallentamento del succedersi delle armonie. L’esito di questa procedura è raffinatissimo perché queste accelerazioni e decelerazioni del susseguirsi delle armonie con pure il contrabbasso (che segue il piano) non sono la conseguenza di banali variazioni della velocità della scansione metronomica che dà l’unità di tempo, che rimane la stessa (circa 55 bpm per semiminima) ed è esplicitata dalla batteria, ma del valore assegnato alla griglia di controllo armonica. Va pure considerato che di fatto la sensazione di accelerazione l’abbiamo soprattutto per il secondo assolo di Evans quando si assume il valore di 1/4, poiché fino ad allora gli accordi di piano (delle armonie previste in spartito) sono sempre suonati ogni DUE pulsazioni dell’unità di tempo e incalzato pertanto confermato dal periodare decisivo del contrabbasso che quindi uniforma la percezione temporale.
Ma nella coda Evans (rimasto da solo) fa perfino scivolare il tempo del valore degli accordi in modo ancor più eccentrico: suona tutto da capo ma le prime 4 battute sono di 2/4 e le rimanenti 6 di 1/4, ripete per due volte intere per poi iniziare di nuovo ma in tempo rubato e terminare sul battere della terza battuta, andando a recuperare le due omesse all'inizio e chiudere il "cerchio". (Nelle trascrizioni più diffuse e accreditate del brano l’intro non è preso in considerazione come pure tutte le variazioni dei valori temporali, la coda invece sì, ma come un banalissimo turnaround, di 4 accordi per qualcuno, di 3 ritornellati per qualcun altro!)
Insomma, alcuni brani, spesso quelli che sono più suggestivi e atmosferici, semplici, comunque più coinvolgenti, si pensa siano frutto di chissà quale ispirazione del momento; che sono così perché il motivo (più o meno fischiettabile) è “indovinato”, o che la performance di questo o quel musicista sia maiuscola. Ma non è (solo) per questo: questo errore si compie proprio perché la musica è comunemente intesa come sinonimo di melodia e di virtuosi espressivi interpreti (coadiuvati da qualche accordo e ritmo). Di certo moltissime musiche popolari sono così ridotte e sempre più diminuite dalla reiteratissima messa in opera di questa convinzione che convince ulteriormente la maggioranza. Ma la Musica, anche quella in apparenza non complicata, è molto, molto di più.