La sua figura, torreggiante, indica un eminente fare musica che travalica generi e gusti. Solo dei colossi si può dire questo; e non di tutti.
Sua magnificentissima spalla dei WR, per una quindicina di anni e altrettanti dischi, fu un altro colosso strumentista-compositore, Wayne Shorter, che per certi versi era di simile essenza e parabola professionale: segnatamente un sassofonista post coltraniano subito di riconosciute doti tanto da essere anche lui prima “sfruttato” da uno come Art Blakey poi dall’onnipresente Davis.
Zawinul, dopo lo scioglimento dei Weather Report, nel 1986 pubblicò il solitario Di-a-lects, e con una serie di formazioni più o meno effimere (la più importante la battezzò Zawinul Syndacate), ha portato avanti la sua prodigiosa musica fino alla prematura scomparsa avvenuta nel settembre del 2007.
Egli coi WR, dopo l’incantevole iridescenza vaporosa del primo omonimo album (’71), comincia col secondo (I Sing the Body Electric del ’72) a mettere a punto il suo meraviglioso viaggio, agevolato dall’entrata in formazione dell’eccezionale batterista Eric Grávátt: la musica del gruppo acquisisce un suono etnico, da continente africano, ma con grazia, con levità.
È col terzo, Sweetnighter (’73), che si comincia a poggiare stabilmente i piedi per terra; dignità e il sapore dell'Africa insieme con gli umori metropolitani; d’altra parte Zawinul ha poi rivendicato un importante primato: "Il primo beat hip-hop mai registrato!".
E ancora lui nel descrivere la nuova direzione della band, "volevo che la band diventasse più forte ritmicamente, ancora più forte di Cannonball e Miles e tutti quelli, ma non mi piaceva il backbeat, quel 2 e 4 che distrugge ogni sensibilità del ritmo perché non è ritmo è solo tempo. E tempo e ritmo nella musica sono due cose diverse”.
Siamo al 1974 e l’astronave WR è in pieno decollo col disco Mysterious Traveller, e Boogie woogie waltz, Scarlet woman e Jungle book sono i primi tre brani più manifestatamente etno-esotici già collezionati nel repertorio di Zawinul, cui si aggiungerà, col seguente Tale Spinnin’ (’75), Badia.
Nell’andare su altri pianeti con Shorter, Zawinul ha cominciato a farci fare il giro del mondo… d’altronde l’attitudine per il viaggio l’aveva già nel lontano 1970 con la “danza del faraone” offerta a Miles Davis*.
Tuttavia nel periodo dal 1976 al 1982, coincidente con la presenza nel gruppo del bassista Jaco Pastorius (affiancato poi dal ’78 dal batterista Peter Erskine), è quasi assente il ramo “world”; appena qualche accenno di Jazz-rock, molta più Fusion, e non poco “electric-jazz”.
Peraltro proprio in questo periodo la tecnologia stava facendo passi giganteschi, basti pensare che finalmente erano disponibili sinth polifonici… Poi vocoder, sequencer e batterie elettroniche sempre più capaci. Naturalmente Zawinul usò il nuovo armamentario elettronico.
Col disco Procession (’83) e la band rinnovata il viennese-americano riprese le sue perlustrazioni per il mondo, per non terminarle più: Where The Moon Goes, The Peasant, Hot Cargo, Face the Fire e China Blues sono le gemme esotiche composte e pubblicate fino allo scioglimento dei WR.
Nel ventennio successivo Zawinul aumentò parecchio il gradiente di etnicità della sua musica, concentrandosi su quella africana, anche la densità sonora e l’impatto energetico accrebbero, in particolare col gruppo Zawinul Syndacate.
E affinché si possa chiarire della sua unicità, che sin dall’inizio lo caratterizzò, va sottolineato che non ha mai volgarmente turisticizzato le sue composizioni immettendo banali elementi etnici che potessero renderle più attraenti; un po’ come fecero altri…
Non si è messo una collana di denti di animali al collo o un turbante in testa per suscitare romanticamente la poesia della distanza, la decadente fascinazione di terre lontane (in tutti i sensi) come zone più ricche di sensazioni, pulsanti di vita più intensa o spirituale. Zawinul si è impregnato davvero di quelle avventure, traendone quello che un grande artista deve, ossia elaborarne una personalissima visione ed espressione.
Non ha preso un pattern ritmico lì, una scala là, suoni e ululati indigeni e presentati appena variati, no. Senz'altro ha tratto spunti importanti da quel suo esporsi a esperienze straniere e ne ha poi sintetizzato esiti originali. Per esempio, la profusione melodica innestata in ritmi e suoni africaneggianti è del tutto inaudita.
Insomma, ha visto collane e turbanti e ha avuto l’idea d’indossarli, ma senza imitarne pedissequamente le fogge: ha prodotto nuovi oggetti indossandoli insieme con qualche suo consueto abito perfettamente acconciato per l’occasione.
Zawinul non ha solo “abbattuto muri e gettato ponti” tra rive e umani, e non ci ha fatto intravedere nature straniere tramite fotografie con didascalie, ha generato nuove vitalità.
* Manu Dibango, Fela Kuti e gli Osibisa furono i più importanti artisti che tra la fine dei Sessanta e i Settanta misero a punto musiche con esplicite radici e ramificazioni africane; pertanto ritmi tribali e intonazioni caratteristiche. Insieme con tutti questi ci fu (’71-’73) anche lo stupendo esperimento del gruppo di Herbie Hancock, Mwandishi.
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