Va detto che dell’opera è apprezzabile proprio lo straordinario senso di coesione, ottenuto attraverso procedimenti “illuminati” e sapienti, oltre che una magistrale messa in pratica. Laddove altri gruppi hanno composto le loro suite musicali cucendo più o meno bene brani più o meno di qualità (di solito tutto alquanto proteso verso l’alto…), i JT hanno lavorato con una tecnica compositiva ben nota che si chiama tema e variazione, da sempre presente in musica, e della quale probabilmente Beethoven è stato il massimo esponente (l’adottò diffusamente nelle sue sinfonie e sonate). Ritornando a Thick, i JT hanno composto molti motivi, sequenze accordali, riff, stacchi unisoni, temi, arpeggi e così via, poi li hanno sottoposti a elaborazioni, modulandoli sia armonicamente sia ritmicamente, sviluppando ulteriormente, infine hanno interpolato il tutto, costruendo una immensa struttura inusitata, tanto omogenea quanto ricca. |
Il Riff1A è in 5/4:
Quando si ripresenta (Riff1B) all’inizio della seconda parte a 48” (oltre a essere in assoluto più rapido) è ritmicamente e metricamente variato (e insieme con esso il tema cantato), qui è in 6/8.
Il Riff1C (a 18’46”) è usato come inserto strumentale: qui è suddiviso (con le ovvie e ulteriori differenze di note) in 7/4 + 4/4 + 5/4 (x due volte).
Il Riff1D (a 19’46”) riprende quello B in 6/8, solo che qui è spezzato, interpolato asimmetricamente da un tema esposto da un’intera orchestra: 15/8 (6x2 + 3/8); poi 12/8 di tema orchestra, segue 3/8 Riff, risponde orchestra 12/8, si ripete dialogo per due volte. Poi ancora solo Riff1B con sovrapposto a 20’09” diverso tema organo di carattere orientaleggiante…
Ed essere consapevoli del loro portato creativo e operativo, è il meritato rispetto che è doveroso per il critico (o presunto tale); così, nel modo che riterrà più opportuno, informerà l’appassionato ascoltatore. Quest’ultimo non è obbligato a farselo piacere, ma essendo esposto a tale corretta informazione, potrà quindi rendersi conto delle capacità degli artisti e consapevolmente rendere loro il meritato riconoscimento. E gli artisti stessi non possono che apprezzare un pubblico più preparato, di là dei conti in banca e delle grida fatue al “Capolavoro!” sollevate dai fan a ogni piè spinto, fatuità nelle quali tutti i musicisti si possono crogiolare… anche Laura Pausini.
P.S. Inoltre ritengo molto discutibile la diffusissima prassi di riassumere brutalmente il giudizio in stellette, tanto più contestabile quanto meno è argomentato nel testo e, soprattutto, quando proveniente da figure non autorevoli. (A meno che non sia un mero indice del proprio gusto dunque antitesi di un giudizio obiettivo, come potrebbe emetterlo un qualsiasi fruitore...)
Sui Jethro Tull ho pubblicato l'analisi dei tre album "Stand Up, Benefit, Aqualung".