Il nome di McCoy Tyner è divenuto sinonimo di una concezione musicale peculiarissima, da mezzo millennio in Occidente: quella modale.
Da molti secoli, partendo dal cuore dell’Europa per poi propagare in Occidente, vi fu la rivoluzione musicale dell’armonia e della consequenziale invenzione del sistema Tonale, con la sua regale scala (la Maggiore e la sua concubina la Minore Naturale), e derivanti accordi strutturati per intervalli di terze con successive norme e regole di concatenazioni tra loro.
Dunque Tyner è stato colui che più e meglio di altri ha dismesso questo sistema: il suo assetto musicale predominante, ossia quello cosiddetto quartale (intervalli per quarte), si è biunivocamente legato con quello modale.
Nella stragrande maggioranza della didattica, da mezzo secolo a questa parte, il sistema modale per eccellenza è considerato quello quartale, correlando quartale-modale sistematicamente; anche, e forse soprattutto, a fronte della musica di McCoy Tyner, di grande diffusione giacché egli fu seguitissimo (seppur dopo i Settanta un po’ dimenticato): influenzò tantissima musica e strumentisti (non solo pianisti).
Tyner è il pianista che più si distingue perché, oltre a essere dotato di grande tecnica e con un tocco, quindi un suono, personalissimo, quando armonizza quei brani (sovente fondati su riff) con accordi quartali offre sia delle sensazioni inusitate (più sospese e statiche dopo secoli di accordi strutturati per terze che sono intrinsecamente più tensivi) sia diverse soluzioni connettive armonico-melodiche.
Ciò è potenziato dal fatto che, conseguentemente alla “quartalità” armonica, Tyner al contempo usa in prevalenza scale pentatoniche anemitoniche, dove perciò è assente l’aspetto principale del sistema Tonale: le note semitonali cosiddette sensibili, quelle che generano tensioni che sono poi risolte. Innovazioni incisive, di grande efficacia.
Dunque il “patetismo” dell’appoggio cromatico è eluso, la tradizionale cantabilità melodica è trasgredita a priori, come le ortodosse cadenze accordali tensivo-risolutive, a favore di una più netta sintesi melodica, con accordi che sono più chiazze di colore che disegni con angoli e curve.
Non è un caso che Tyner abbia prodotto pochissime ballad, predominano brani rapidi e aggressivi; il suo pianismo è basato sulla potenza e velocità, a volte parossistiche.
Le sue frasi a note singole sono un flusso così scandito e irruente senza pause e legati di portamento tra le varie note (in ciò il suo suonare somiglia più a quello di uno xilofonista), che sembrano lo scroscio di mille gocce di acqua in cascata sulle rocce. Con il contraltare di periodiche e furenti note (bicordi tonica+quinta del modo scelto) in registro basso che sembrano poderosi colpi di maglio di Odino.
Tuttavia, soprattutto negli anni con Coltrane, ha seminato perle di rara cantabilità solistica peraltro anche ad accordi (Dear Lord), rigogliosissimi quanto delicati manti di note fiorite nei sontuosi arpeggiati (Welcome), o ballad di grandissima raffinatezza e modernità (Aisha).
La traiettoria più notevole di Tyner è quella che va dal 1968 al ’74, nove dischi da Expansions a Sama Layuca. Musica rigorosamente acustica ma fertile di accostamenti di strumenti e timbri; modalesimo con talvolta esplicita pan-etnicità afro-asiatica.
(Beninteso che anche i dischi precedenti e successivi sono pregevoli e per motivi che non risiedono solo nella grande abilità esecutiva di Tyner e i suoi sodali: per l’approfondimento del Jazz non necessariamente modale con ragguardevoli soluzioni musicali sia compositivamente sia come mescolanza tra musicisti.)
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Come Alfred “McCoy” Tyner.