Carlo Pasceri
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Libro Eroi Elettrici

Simple Minds e il tramonto dei "campioni" degli anni 80

7/5/2020

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Sono passati molti anni dalla pubblicazione del disco Street Fighting Years dei Simple Minds, uscito l’8 maggio 1989. Un’enormità di tempo relativamente al Rock e Pop; in generale a tutta la musica moderna, ossia quella nata nell’era elettrica del Novecento.
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Nel Rock e Pop elettrico (includendo lateralmente anche gli altri generi e stili affini, Hard Rock ad esempio) impressiona particolarmente come il tempo sembra scorrere: da un lato più velocemente, dall’altro lentamente; se non addirittura tornare indietro. 
Al principio rapidissimo, perché non solo ci furono significative differenze nei contenuti  (ritmi, melodie e armonie)  tra gli artisti strettamente coevi tra loro, ma ci furono grandi difformità tra quelli che hanno operato nei primi quindici anni di nascita, dai primi Sessanta a fine Settanta; basterebbe pensare a Byrds, Zappa o Cream dei Sessanta e ai Queen di soltanto dieci anni dopo.
Nei decenni successivi il tempo “rallenta”, perché non sono così significative le differenze, per esempio, tra i Simple Minds degli Ottanta (oltre che con i loro coevi) e i gruppi dei Novanta o Duemila; facendo la tara, oltre che naturalmente alle personalità dei musicisti, ai vari formalismi posti in atto, cioè ai rivestimenti dei contenuti (spesso alquanto poveri), i cosiddetti “arrangiamenti”*.

​Non a caso è stata l’epoca d’oro dei produttori assurti a eminenze grigie musicali a fronte di alcune loro scelte di “arrangiamenti”, più preconfezionate che altro, che avrebbero distinto così il prodotto di un artista, ma che avrebbero fatto riconoscere la loro “mano”. Tutti ad applaudire e acclamare. Paradossale.

Ammantare le canzoni di elettronica, anzi, spesso costruirle direttamente, invece che con chitarre e voce e magari qualche percussione o batteria, con ammassi di sintetizzatori, sequencer e ritmi a volte un po’ sbilenchi (in senso buono) dati da batterie elettroniche con suoni artefatti ecc., era la regola negli Ottanta.
E se di norma i contenuti musicali erano molto simili ai decenni precedenti, qualche spunto innovativo c’è stato.  


Dunque, va da sé che delle eccezioni ci sono state, ma questo è ciò che è accaduto nella stragrande maggioranza dei casi.
Poi la sostanza prettamente musicale è precipitata in uno stitico espressionismo sbraitante. Moltissima produzione via via si è appiattita sempre più verso una sorta di postmodernismo a base pop-rock canzonettistico-ballereccio con variabili quote di rap e metal inserite.
​Pertanto, riesumando l’enfasi un po’ drammatico-sarcastica di qualcuno, si potrebbe affermare che la musica da tempo se non è morta è di certo in un perdurante coma agonico.

Il tempo da allora è come rallentato, sospeso, spesso torna indietro con ogni sorta di revival: non sta accadendo nulla di significativo da molti anni, troppi.
​
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Questo disco dei Simple Minds è un buon esempio per queste brevi riflessioni giacché opera di un gruppo di largo successo, che fu col senno di poi spartiacque della loro carriera, in declino.
​Dunque i Simple Minds sono paradigmatici perché hanno cavalcato in pieno l’era elettronica degli Ottanta, allora in grandissima crescita ed espansione con sinth, drum machine, sequencer e processori effetti in studio in grande evidenza a scapito delle chitarre. Un gruppo poco guitar-oriented, pertanto, nella comune percezione, meno rock e più pop. Al contrario degli U2 che furono sentiti, per la prima parte della loro carriera, molto più rock che pop.

Il brano di apertura Street Fighting Years ha degli spunti interessanti, anche come struttura, sorprende l’uso del suono acustico del contrabbasso; sarà il brano più articolato e ambizioso.
Più convenzionale Soul Crying Out canzone con ossatura di un mini riff funky che rimanda anche a loro precedenti.
L’aggressiva Wall of Love si distingue per i cori e gli interventi di chitarra slide.
Quieta la successiva This Is Your Land, seppur nel lungo finale strumentale un po’ per la parte del basso un po’ per l’accumulo di suoni, la temperatura si alza un po’.
Segue la martellante Take a Step Back, nulla di che.
Kick It In rarefatta atmosfera iniziale con lontana chitarra e organo, ma poi ancora martellamento con la voce di Kerr che, sempre in modo un po’ monotono, scandisce il testo che assume profilo di filastrocca rock&roll; a metà con un singolare quanto breve inserto con cambio di atmosfera per poi riprendere, qualche stop and go e via.
Let It All Come Down pacata ma con un po’ di tensione epica, accenni acustici e interventi slide di chitarra. Più scorrevole e serena la musica di Mandela Day, semplice, ripetitiva e innodica.
E più profondità emotiva per Belfast Child, accenni folk per la melodia cantata e contornata da un esercito di strumenti che come al solito si ammassa e fa muro terminale.
Biko di Peter Gabriel è arrangiato quel tanto che basta da rendere interessante la versione, ma più per il fatto storico che siano stati loro a farlo che altro.
La molto breve e conclusiva When Spirits Rise sembra sia lì per imprimere al disco il marchio britannico dei Simple Minds, che soprattutto nella seconda parte della produzione emerge; ancora evocazioni, bordone di nota e lontane melodie con qualche attacco percussivo, poi qualche accordo e finisce quasi improvvisamente.


Insomma, più o meno tutti i campioni degli Ottanta stavano entrando in crisi, certo in quel tempo qualcuno su coordinate simili aveva fatto meglio, come i Tears For Fears con Seeds of Love, o qualcun altro appena prima aveva davvero magnificamente svoltato, come i Talk Talk con Spirit of Eden, tuttavia questo Street Fighters Years dei Simple Minds rimane un buon disco, con un piglio più di suggestione epico-britannica del loro solito.


* Quanti e quali suoni (e voci) usare con le loro dinamiche di volumi e velocità e quante e quali sezioni (intro-strofa-ritornello-ponte ecc.).
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    Carlo Pasceri
    Chitarrista, compositore, insegnante di musica e scrittore.


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