I Grails sono un gruppo americano degli anni Duemila di Rock postmoderno ma di natura arcaica, poiché modali e dilatati, non basati sul fitto contrappunto medieval-rinascimentale né sul giroscopico e “moderno” sistema tonale: è la più rilevante proposta di questo decennio.
Del tutto strumentali; no virtuosismi, no canzoni, no assoli, no compatte aggressioni sonore.
La loro musica è interessante, seppur strutturata con semplicissimi (e non di rado banali) motivi melodici reiterati e appena variati, riff, morbidi e semplici tappeti armonici, talvolta con ritmi sincopati ma non assalenti; usano magistralmente spazi, tempi e timbri: né troppi, che tendono a saturare, né pochi, che tendono ad annoiare.
Suoni mobili all’interno di pannelli statici; i Grails non avvicendano pannelli musicali, ossia macro condizioni diverse (e nemmeno le piccole strutturazioni formali di intro-ritornello ecc.), ma mutano circostanze musicali all’interno della cornice: stabilito il fondo atmosferico di riferimento, trasformano quel tanto da ampliare i perimetri e non ipnotizzare l’ascoltatore ma immergerlo in un discreto effluvio di suoni, tale però da non sommergerlo. I Grails realizzano coreografie oniriche, nostalgiche, forse per qualcuno un po’ paranoiche e funeree, comunque fascinose perché inconsuete.
I suoni, le note e i ritmi dei Grails, il più delle volte, sono rarefatti; in quest’epoca compatta e ipertrofica offrono un profondo e quieto respiro, sono efficaci nel determinare notevoli suggestioni. Sono al limite dell’Ambient (Eno e Fripp? sì, perché no…) e della poco nobile e alquanto cialtrona New Age. Insomma atmosferici, però, in virtù di una produzione nutrita e, nell’ambito di queste coordinate, parecchio differenziata (a volte più basata sulla chitarra, altre sulle tastiere, sui ritmi di batteria, sui timbri, a volte più cantabile, altre più pulsante e ruvida…), sono riusciti a ritagliarsi il loro vitale spazio espressivo.
L’area di riferimento dei Grails è al confine di quella delle azzurre e gialle distese pianeggianti americane alla Aaron Copland (per esempio Billy The Kid nell’interpretazione chitarristica di Bill Frisell), e di quelle meno assolate, più grigie e frastagliate dell’Europa continentale dei Gong, Can…