Carlo Pasceri
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Libro Eroi Elettrici

Il cuore matematico della musica

28/9/2012

17 Commenti

 
Ad agosto sul blog del prof. Odifreddi (noto matematico e divulgatore scientifico) ospite su Repubblica, si è aperta una discussione sul fatto che “nell’arte e nella musica ci sono, e ci sono sempre state, correnti razionaliste che parlano lo stesso linguaggio della matematica. E capire e apprezzare i loro prodotti richiede lo stesso grado di istruzione, e lo stesso livello di addestramento, che servono per capire e apprezzare i teoremi e le dimostrazioni. E’ ovvio che certa arte e certa musica, allo stesso modo della matematica, richiedono uno sforzo superiore di quello sufficiente per guardare una pubblicità, orecchiare una canzonetta o leggere un romanzetto. Anche scalare l’Himalaya o le Alpi è più impervio che andare a passeggio, ma solo così si possono conquistare le vette, delle montagne o della cultura.”
Naturalmente ci sono stati numerosissimi interventi di diverso segno, ancorché di diversa profondità analitica. Molti sono d’accordo con il professore, altri no; poi la discussione prende una deriva sull'arte, su cosa è e non è l’arte, quindi sulle definizioni…

Può essere utile ricordare che la musica è intimamente il prodotto di “calcoli matematici”, ossia prima ancora di esser composta ed eseguita, l’essenza musicale (suoni, note e ritmi), è matematica.
Come è assolutamente frutto matematico il sistema musicale temperato dodecafonico introdotto e usato in occidente alla fine del ‘600.

Consapevoli o meno, quando ascoltiamo musica il nostro cervello effettua dei calcoli...

Immagine
Piergiorgio Odifreddi
Comunque, pure del tutto inconsapevoli o volontariamente consapevoli, quando ascoltiamo della musica il nostro cervello fa dei calcoli: prova ne è che lasciando perdere le “belle musiche”, oggettive o soggettive, sulle quali magari litighiamo, siamo sostanzialmente TUTTI D'ACCORDO sulle BRUTTISSIME MUSICHE, inaccettabili a tal punto che quasi non sono musica per noi. Infatti, altezze frequenziali, tempi e ritmi non "allineati" e sincronizzati in assoluto e tra loro, ci faranno percepire melodie stonate, accordi “sbagliati” e fuori tempo orribili.
Questo è nell’arte una SINGOLARITA': in pittura non tutti sono d’accordo su un quadro astratto o un dipinto che non corrisponda a canoni di realtà oggettiva, prospettica e geometrica, come per la scultura. Addirittura in letteratura pure qualche prosa scritta molto male, non fa a tutti necessariamente inorridire e rifiutare lo scritto con dolore quasi fisico.
In musica sì, inorridiamo e stiamo male, e ciò accade perché il nostro cervello sa cosa basilarmente è giusto e cosa è sbagliato: come per un’operazione aritmetica.
Quando ascoltiamo pure distrattamente della musica il cervello “numera”, anche se noi siamo del tutto inconsapevoli di ciò.
Infatti, quando ascoltiamo delle musiche banali (o comunque estrapoliamo delle cose semplici da qualche musica), è come se al cervello arrivasse 2+2=4; 3+3=6; 4+4=8: musiche più complicate hanno insite “numerazioni” più complicate, che obbligano pertanto il cervello a maggior lavoro e quindi noi di porre maggior concentrazione.
La maggior parte delle persone non apprezza delle musiche complicate, che sono sia intimamente sia implicitamente il prodotto di “calcoli matematici”; queste musiche complicate sono spesso pure frutti di consapevoli e volontarie combinazioni matematiche che il compositore realizza.
Le musiche MENO (quantitativamente) apprezzate sono quelle con i “calcoli” più complicati, ma anche quelle musiche che hanno TANTI “calcoli” elementari e poche ripetizioni: è imbarazzante che nella musica moderna più apprezzata c’è un’esasperata RIPETIZIONE dei pochi calcoli elementari presenti.
Invece quando decretiamo di ascoltare della musica “SBAGLIATA” (seppur semplice) è perché al cervello arriva 2+2=3!
Certa arte e certa musica, come dice il prof. Odifreddi, hanno bisogno di uno sforzo superiore (per esser comprese e apprezzate) pertanto hanno bisogno di istruzioni superiori.

17 Commenti
massimo franceschini
29/9/2012 05:33:37

Un'analisi tecnicamente........ineccepibile!

Rispondi
Giuseppe
29/9/2012 07:46:10

Mi trovo d'accordo e azzerderei anche il seguente elemento di riflessione: se entrambi, matematica e musica, avessero in comune si il calcolo e il numero, ma come elemento accidentale e contingente, mentre al fondo di entrambi la cosa importante fosse quella di essere linguaggi formali, dunque solo tendenzialmente rigorosi ma anche dinamici, mutevoli e capaci di parlare sensatamente al di là di sè stessi o anche contro se stessi?
Con l'occasione ti mando un abbraccione, G

Rispondi
carlo pasceri link
30/9/2012 04:29:46

Benvenuto Giuseppe,
grazie per la tua stimolante riflessione.
Io non riesco di ravvisare un linguaggio nella musica (in fondo, forse, mi piacerebbe).
Talvolta bastano pochissime note per suggestionare l‘animo umano o creare atmosfere particolari, ma che non hanno significati: le note (pur pochissime) non le riconosciamo (e credo mai riconosceremo) come “lettere e vocaboli” di un qualsiasi alfabeto e dizionario, quindi è per noi irrealizzabile articolare pensieri e comunicarli attraverso la musica.
La musica non è significante e non determina niente e proprio per questo non è limitante, non è mai frenata da concetti e quindi costretta di corrispondere a dei fini particolari: è questa la sua formidabile forza.
La musica É sempre un qualcosa (di indefinito e indefinibile) e NON RAPPRESENTA qualcosa (di definito o definibile).
La musica è una polarizzazione volontaria di connessioni soniche, una peculiare trasmissione di energia per mezzo di vibrazioni organizzate; niente di più: ma che meraviglia!

Rispondi
massimo franceschini
3/10/2012 15:49:23

Sono d'accordo quasi del tutto.....la musica non è significante ma........non determina niente è un po' azzardato. Determina qualcosa in noi, emozioni, stati d'animo ecc., certo molto soggettivi e non riconducibili a schemi precisi, ma questo non vuol dire che non determina niente.....

carlo pasceri link
4/10/2012 01:49:02

Ciao Massimo,
quindi siamo d’accordo sul fatto che la musica non significa niente.
Dunque non è determinante (ossia indicante esattamente un qualcosa) come comunicazione linguistica: era in questo senso la mia affermazione.
Le note non significano niente e quindi la musica emessa non “trasporta” (o non è) mai un messaggio che abbia dei contenuti precisi, pertanto il ricevente non comprende niente perché niente è emesso e “trasportato”.
La musica noi possiamo comprenderla solo in sé stessa, essendo la musica (producibile per mezzo di) una specie di codice autoreferenziale.
Tutto determina qualcosa, cioè nell’accezione che provochi o essere causa di qualcosa; naturalmente anche la musica, infatti, certamente suggestiona ed emoziona, l’ho detto anch’io.
Ma queste emozioni e stati d’animo, come hai detto tu, “certo molto soggettivi e non riconducibili a schemi precisi”, sono l’effetto insignificante di una causa (“messaggio”) insignificante.

Rispondi
Antonio
4/10/2012 09:06:02

Sono d'accordo su quanto detto in precedenza a proposito della mancanza di significato della musica.
Ma allora, mi domando, come mai si dà sempre un titolo ad ogni brano musicale (anche a quelli strumentali, privi del significato dato dalle parole)?
Ed è l'artista stesso, non un critico visionario qualsiasi, che vuole dare un senso, e quindi un limite, alla propria musica. All'ascoltatore viene chiesto di perdersi in quel mondo, solo evocato, dal quale difficilmente potrà uscire.
Mi vengono in mente, ad esempio, i titoli altamenente evocativi dei brani dei Return To Forever. Difficile non rimanere impigliati in quell'universo fatto di guerrieri romantici, streghe, buffoni e tiranni! E ad ogni nota, l'ascoltatore potrà legare una visione di quel mondo. Soggettiva, sicuramente, ma forse non del tutto priva di significato.

Rispondi
carlo pasceri link
4/10/2012 18:12:28

Caro Antonio,
la spiegazione tutto sommato la dai tu stesso.
Il compositore vuole (con un semplice titolo) limitare quindi dare un senso alla propria musica per catturare e canalizzare più facilmente l'immaginazione dell'ascoltatore e condurlo verso un comodo appagamento intellettuale, sensoriale ed emotivo.
L'esplicita ammissione di debolezza del linguaggio non significante della musica, è data appunto dalla pratica dei compositori che vogliono fornire chiavi interpretative ai propri brani, dando dei titoli ai pezzi che siano perciò suggerenti qualcosa.
Da considerare che talvolta taluni compositori di pura musica strumentale sono un po' invidiosi dei colleghi compositori di canzoni; queste opere sono molto più accessibili giacché i compositori si approfittano dei testi per comunicare ed esprimersi precisamente (completando il tutto con la musica), ed essere quindi da molte più persone "letti e capiti a buon mercato".
Altre volte i titoli dei brani sono dati dai compositori di pura musica solo per designare "XY" con "45" perché piace loro "forgiare" un ente fono(semio)logico, che sarà per sempre associato a una loro "creazione", catalogandola; se in questo caso l'ascoltatore è suggestionato è una faccenda del tutto soggettiva a carico del fruitore, e in quanto tale…
Credo poi tu ti riferisca specificatamente al disco "Romantic warrior" dei RTF (1976): quella è una particolare celebrazione/evocazione pure astuta del grande Chick Corea e compagni che, adottando generi e stili antichi, pure mutuando intere frasi musicali dai loro predecessori di secoli addietro, "giustificano" lo sfruttamento di quell'antica musica in nome di una moderna integrazione interpretativa per mezzo di una fusione con generi (jazz-rock-funk) e stili nati e cresciuti proprio pochi anni prima del '76, e dei quali Corea è in parte parente.
Oltre a ciò, noi ovviamente acculturati, anche da film che hanno già associato direttamente musica, suoni, immagini, storie che hanno fatto pure storia e quant'altro ci può essere come totali esperienze umane, facciamo il resto per estrarre significati extramusicali, appena un titolo e uno schema sonico insieme ci raggiungono.

massimo franceschini
4/10/2012 17:28:25

Sono d'accordo con Carlo sulla causa insignificante....l'effetto invece è significante o significativo, per il terminale ricevente la causa. Una significanza che solo lui, forse, può descrivere dal suo punto di vista e su cui poi possono focalizzarsi discussioni, comunanza di sentimenti e intenti....così nascono le mode e i luoghi comuni. Ciò che mi preme sottolineare è la particolarità e unicità della musica, anche rispetto alle altre arti. E' per certi versi la più astratta (e affascinante) e proprio per questo la più soggetta a commenti, pareri, discussioni ecc. ecc. Inoltre, proprio perchè astratta, lascia il ricevente sostanzialmente libero, a volte "in balia" di immagini, sensazioni, elucubrazioni....un vuoto pieno di "cose"....fra le più disparate e impreviste. Ora, dato che viviamo in un'epoca in cui il pensiero non va così di moda, in cui abbiamo paradossalmente tante meno "certezze" di un tempo...in cui "la grande sconosciuta" nella cultura umana, la MENTE, fa sentire sempre più il peso della sua indeterminazione....ecco che diventa difficile, scomodo e arduo passare tempo ad ascoltare MUSICA STRUMENTALE.....è scomodo...ti mette davanti un "vuoto"....

Rispondi
carlo pasceri link
5/10/2012 06:31:13

Caro Massimo,
ho già chiarito che per me il non significato della musica è quello linguistico (di questo si discuteva con Giuseppe), ossia la mancanza di una precisa informazione di contenuti pertanto di comunicazione: in questi contesti a una linea di emissione deve corrispondere solo l'"attivazione dell'oggettivo codice" per correttamente ricevere la stessa linea.
D'altra parte lo dici tu stesso che il ricevente terminale può descrivere solo lui, forse, dal suo punto di vista quello che ha ricevuto, quindi…
Quindi se il contenuto di una presunta "significazione" è elaborata soggettivamente pertanto in misura variabile da parte di diversi riceventi, viene meno qualsiasi convalida delle definizioni appunto di significati, messaggi, linguaggi, comunicazioni, informazioni e così via.
Siamo liberissimi di attribuire a nostro piacimento qualsiasi "significato" a qualunque emissione quando la riceviamo: QUALUNQUE cosa immessa provoca QUALSIASI cosa una volta accolta (spesso è pure di diverse classi di entità rispetto alla matrice originale), e allora?
Se ci esponiamo a un odore, al vento, al sole alla pioggia, nuvole ecc., e ciò provoca a noi un'emozione, un ricordo, uno stato d'animo ecc., ciò non dimostra niente di più di una cosa perfettamente naturale nell'elaborazioni delle esperienze umane di tutti i giorni; senza scomodare null'altro.
E se noi successivamente codificassimo quell'esperienze (ma unilateralmente, consapevoli o meno), quando ci capiterà ancora una cosa simile produrrà effetti simili; però sarà solo un'arbitraria e liberissima attribuzione di "significati" a oggettive realtà insignificanti. Spesso variando pure gli effetti relativi alle classi ed entità causali originali: odore, vento, sole, pioggia, nuvole ecc., che produrranno effetti diversi dalla diretta sollecitazione sensoriale olfattiva (magari pure dell'acquolina in bocca), scompigliamento di capelli, arrossamento della pelle e così via.
Se io produco onde sonore organizzate (causa) e tu REAGISCI (è questo il diretto effetto) elaborando peculiarmente "significati" e quindi concependo fantasiosamente delle cose (di nuovo causa), provocandoTI una QUALSIASI emozione (ancora effetto), va benissimo (così diventi tu una specie di "creativo"!); ma…
Solo se ci metteremo d'accordo che, ad esempio, quella (precisa e brevissima) sequenza ritmica X=MELA, e poi un'altra Y=VOGLIO, poi quelle 3 note poste così quindi Z=chissà cosa ecc., potremo un po' come il codice Morse, significare qualcosa: ma ci conviene?

Rispondi
massimo franceschini
5/10/2012 15:27:19

Ma io non voglio dire che in musica abbiamo una significanza oggettiva o riconducibile a schemi precisi da cui se ne possa dedurre un linguaggio assimilabile a quello del discorso (o ad altri), certo che no.
Però non possiamo certo equiparare l'ascolto di un brano con la sperimentazione di una qualsiasi altra percezione. Lo potremmo fare soltanto se il ricevente fosse totalmente disinteressato o non in grado di apprezzarlo, fino al punto di preferire una qualsiasi sensazione o esperienza a qualsivoglia input artistico.
Dal momento in cui si instaura un trasferimento di dati artistici tra il ricevente interessato a percepirli e il prodotto artistico stesso, abbiamo appunto una linea di comunicazione. Il prodotto artistico "parla" per l'artista e il ricevente....ne fa quel che vuole! Sono in gioco delle volontà, delle intenzioni e delle attenzioni.
Il fatto che analiticamente non se ne possa estrapolare alcun linguaggio, non rende questo tipo di esperienza, secondo me, assimilabile a qualsiasi altra esperienza percettiva uno possa fare nella vita. Altrimenti non si spiegherebbe la magia dell'arte....

carlo pasceri link
6/10/2012 04:36:07

Caro Massimo,
l’esacerbato esempio del vento, sole, odori ecc., l’ho fatto per rendere più chiaro che noi di qualsiasi cosa ne facciamo potentemente quel che vogliamo; figuriamoci di una intenzionale faccenda tra esseri umani.
Pertanto, mi pare che abbiamo chiarito che la musica non significhi niente, e che il ricevente rielabori come gli pare; e sono pure d’accordo con te (dal tuo precedente post) che la musica strumentale essendo “vuota ma piena di cose”, è difficile, scomodo e arduo passare del tempo ad ascoltarla (figuriamoci a “capirla” dico io): l’emittente e il ricevente sono di solito ben poco CONNESSI.
Poco connessi considerando il “linguaggio” autoreferenziale della musica, cioè essendo appunto non rappresentativa e insignificante di dati esterni a essa, per davvero “comprenderla” il ricevente deve mettere (volontà) una notevole attenzione (in una parola, intenzione) ed essere istruito (il complesso delle cognizioni) in modo adeguato: l’OUT dell’emettitore (istruzioni con intenzioni per SINTETIZZARE) altrimenti non viene accolto e interpretato in modo idoneo dal ricevente IN (intenzioni con istruzioni per ANALIZZARE).
Addirittura questo è anche il problema della grande maggioranza dei critici musicali: non sono davvero in grado di comprendere e interpretare e quindi di essere dei medium tra gli artisti e i fruitori: ma questo è un paio di maniche che ci rimboccheremo un’altra volta!
Tuttavia la musica raggiunge direttamente la nostra sfera sensoriale attraverso la sua insita fisicità organizzata nel divenire temporale, è energia vibrante che quando ci “colpisce” ci tonifica e ci armonizza materialmente alterando in modo profondo la nostra percezione dell'ambiente circostante: la magia della musica è (anche) questa.
Quindi la musica ci suggestiona e ci emoziona (ci piace o meno) a prescindere di capire cosa davvero è quell’ente (magari stiamo iniziando a conoscerlo un po’ di più, no?), anzi di solito meno comprendiamo e più ci lasciamo sopraffare da quell’incantesimo, essendo l’unica “attività” possibile.
P.S. Sotto il profilo di OUT e di IN, odori, vento, sole ecc., sono nel rendimento più proficui nell’andare a causare effetti in noi, considerate le intenzioni e le istruzioni…

Rispondi
massimo franceschini
7/10/2012 08:30:17

Sono sostanzialmente d'accordo con l'analisi, aggiungendo due riflessioni, secondo me direttamente conseguenti ai tuoi assunti.
1. La musica, come tutte le arti (per certi versi più di altre), coagula un insieme di interessi, percezioni, sforzi, impegni, attenzioni ecc., pur non avendo un linguaggio riconducibile a una qualche significanza. Ogni musica ha il suo pubblico, che evidentemente è in grado di "capire" o "apprezzare" in qualche modo, fino al punto di ricercarla avidamente per nutrirsene intellettualmente e spiritualmente o almeno desiderare, anche solo per scopi di puro intrattenimento.
2. La musica è, secondo me, sostanzialmente morta oggi, (il tuo libro è un forte tentativo per rivivificarla), dopo le grandi novità che vanno dal fine 800 agli anni '70 del secolo scorso, comprendendo sia la musica "colta" che la popolare. Le ultime vere avanguardie erano riuscite a fare un lavoro di intesi eccezionale, che veniva definito come "musica totale" fino a pochi anni fa.
Questa musica ha avuto un periodo di successo presso un numero sufficiente di persone, era quasi un fenomeno relativamente di massa, a volte. Era lo splendido inizio di un'età aurea, purtroppo stroncata da vari motivi politico-sociologico-intellettual-economici, ma soprattutto, secondo me, dagli artisti stessi (sia da alcuni, quasi tutti quelli che l'avevano creata, sia da quelli che non hanno proseguito o hanno proseguito solo in un certo modo), che non hanno mantenuto l'impeto creativo e di ricerca (se non quella di un facile tornaconto), ma si sono adagiati su routine e sbiadite riproposizioni, spesso neanche formalmente all'altezza.

Il mio auspicio è che qualsiasi tentativo di analizzare e sviscerare la musica e l'arte (ripeto, il tuo ne è uno splendido esempio), possano favorire una riflessione da parte di tutti quelli che sono a punto CAUSA, cioè tutti quei soggetti che la creano, la scrivono, ne parlano a livello di "autorità" ecc. Sono i primi responsabili!

Quando va bene oggi abbiamo degli ottimi intrattenitori, quando va bene....ma lo erano anche gli alfieri dell'età aurea, forse inizialmente osteggiati o non compresi, ma poi seguiti da moltissime persone.
Forse siamo scesi così spiritualmente in basso che non abbiamo più voglia di ESSERE e quindi RISCHIARE veramente, per dire ciò che vogliamo dire, forse non abbiamo più niente da dire, forse ci accontentiamo del superficiale appagamento dell'applauso facile o dell'assegno.....
Su, forza, un po' di responsabilità,ragazzi!

Rispondi
Luca
8/3/2015 13:44:33

“La musica è il piacere che la mente umana prova quando conta senza essere conscia di contare” (Gottfried Leibniz)

Questa frase ben evidenzia sia l’indubitabile attività di calcolo che la mente umana compie quando si apprezza la musica sia la natura immediata ed automatica di questa attività. Quindi mi vien da dire che la musica, in virtù di questa spontaneità di calcolo, non ha bisogno di essere spiegata, né è necessario conoscerne i principi teorici, perché la si apprezza per intima disposizione naturale. Una musica che ha bisogno di ulteriori supporti perché l’ascoltatore la “capisca” per me non è (solo) musica, ma un altro tipo di arte che, eventualmente, comprende la musica solo come sua singola parte (può essere l’opera, il cinema, o altro).
La teoria serve al compositore, che deve acquisire gli strumenti per manipolare il suono, e allo studioso che intende capire le caratteristiche dell’esperienza musicale. L’ascoltatore ha bisogno dell’apparato uditivo e basta secondo me. Sono sempre rimasto sbalordito ogni volta che ho sentito uno studente di musica classica dire “Ho bisogno di leggere lo spartito” per decidere se una composizione era di suo gradimento o no (mi è capitato, sì). Secondo me se un’idea è rimasta sulla carta, e alle orecchie non è evidente, non è un fenomeno musicale. Magari può arricchirti comunque, magari val la pena leggerla, ma non è musica, è una cosa che si aggiunge alla musica. Tra l’altro a molti compositori d’avanguardia spesso viene rimproverato che tante loro costruzioni cervellotiche, pur evidenti sulla carta, all’udito risultano impercettibili, e quindi sostanzialmente non esistono come musica. Io amo moltissimi di questi compositori a cui si muovono queste critiche, ma devo riconoscere che la critica spesso è giusta: la musica è fatta di suono!
E dal momento che la musica in sé non ha contenuto semantico, non fa nemmeno riferimento a nozioni che è il caso di sapere per goderne meglio, cosa invece necessaria per altre arti. Già, a proposito, dalle molte letture che ho fatto mi sento di dire anche io che la musica non è un linguaggio, e non ho trovato convincente nemmeno la teoria della musilingua, secondo la quale musica e linguaggio deriverebbero da un’unica forma espressiva umana dalla quale si sarebbero separate.

Ora, quello che ho detto, me ne rendo conto, cozza terribilmente, almeno in apparenza, con la realtà: ci sono effettivamente musiche poco ascoltate e poco amate, e si riscontra spesso una relazione tra livello culturale acquisito e tipo di ascolti esperiti. Inoltre si può facilmente vedere come lo studio teorico di un certo genere musicale possa renderlo amabile anche se inizialmente non lo comprendevamo.
In realtà però tutto dipende, secondo me, in larga parte dalle nostre aspettative che ci sviano: abituati ad un certo tipo di musica, tenderemo a ricercarne i valori caratteristici anche in tipi di musica che si fondano invece su valori differenti, con conseguenti noia e frustrazione.
Conscio del fatto che quella che sto proponendo è una teoria vecchia e considerata superata da tutti gli studiosi di estetica, che la chiamano sprezzantemente “Teoria di Tintinno-Tuffo” (brutta traduzione di “Tungle-Immersion Theory”), vado subito a spiegarla:
Noi siamo fisiologicamente attrezzati a comprendere qualsiasi musica, ma anche a ricercare forme familiari in ciò che non ci è familiare (pensiamo ad esempio alla pareidolia), e quindi per apprezzare musiche nuove dobbiamo fare un lavoro di preparazione mentale, una specie di meditazione, che ci porti ad approcciarci all’ascolto svuotati il più possibile di pregiudizi ed aspettative. È come se fossimo dei vasi: per poter accogliere la musica che ascoltiamo dobbiamo prima fare spazio dentro di noi, svuotandoci di tutto il nostro bagaglio esperenziale, comprendente criteri di valutazione, pregiudizi sui valori della musica ecc. Dobbiamo farci da parte e lasciare che la musica parli da sola, senza che venga disturbata dal nostro chiacchiericcio interiore.
Questo è un fenomeno provato e osservato mille volte: l’occidentale che ascolta musica classica indiana tende a semplificare i complessi ritmi che ascolta approssimandoli a quelli più semplici della propria tradizione, tanto per fare un esempio. E non è un fenomeno confinato alla musica: i primi ritrattisti che entrarono in contatto con certe popolazioni dell’Africa nera dipingevano gli indigeni con proporzioni evidentemente mutuate dall’arte classica ma non realistiche (in pratica i modelli assorbiti si sovrapponevano alla realtà deformandola!).
Questo tipo di dis

Rispondi
Luca
8/3/2015 13:46:19

Questo tipo di distorsione percettiva condizionata dalla propria formazione culturale è quella che sta alla base di molti giudizi denigratori. Quando si giudica la musica popular coi criteri della musica classica si finisce col considerarla povera armonicamente e ripetitiva, ma la classica giudicata secondo i canoni della musica popular appare tutta uguale e soporifera (faccio rozze semplificazioni per cercare di essere breve, almeno stavolta). E del resto tutto ciò si ricollega a ciò che dicevo in altri commenti (e che hai praticamente detto tu stesso, se non ti ho frainteso) : sotto il termine “musica” in realtà si celano diverse forme d’arte, e spesso ci approcciamo ad una di esse trattandola come se fosse un’altra, ed ecco che avviene un fraintendimento! La mente cerca dei valori che non ci sono, e lo sforzo affatica, mentre l’insuccesso frustra. Ovvio che poi l’esperienza risulti sgradevole!
Quando dico “Comprendere tutte le musiche” mi riferisco al capirne il senso, ma poi non è detto che si debba amarle, sia chiaro! Certa musica seriale può essere capita ma non amata perché troppo cupa e ansiogena. Alla fine i gusti continuano ad esistere, sia chiaro!
Così come continua ad esistere la musica fatta male! Un conto è considerare un brano pop scadente perché non possiede i valori che fondano invece la musica classica, e un altro è considerare un brano pop scadente perché, rispetto al suo stesso codice culturale, contiene degli “errori”.
Quindi alcune musiche sono difficili da avvicinare perché troppo distanti dalle nostre abitudini di ascolto.
Ma altre hanno una difficoltà aggiuntiva: ci sono musiche, come tanta musica classica, che richiedono un livello di attenzione alto e costante, ma la maggior parte della gente, oggigiorno, non è più in grado di prestare attenzione in questo modo, in quanto la società del multitasking, del bombardamento di input, dell’iperconnessione e della velocità ci abitua ad un livello di consapevolezza molto più basso e ci rende via via meno pazienti. Per fortuna è una facoltà che si può ripristinare con l’esercizio, se si vuole.
Tra l’altro questa società incoraggia anche comportamenti narcisistici, e questo non è esattamente vantaggioso quando si dovrebbero sopprimere le proprie idee e i propri ricordi per non soffocare la musica che dovremmo accogliere con passività recettiva.

Chiaramente poi esiste musica terra terra e musica riservata ad animi più sensibili, così come c’è differenza tra cinepanettone e cinema d’autore (perdonate il parallelismo banale e forzato, ma mi pare renda bene l’idea senza dover dire altro), però in genere una persona che, per esempio, vede i film di Bergman e ama i quadri di Goya, ha anche gli strumenti culturali per godere dei romanzi di Dostoevskij, eppure spesso è completamente insensibile difronte al grande jazz, alla classica ecc, “accontentandosi”, sotto il profilo dell’ascolto musicale, di gruppi pop anche abbastanza dozzinali. È chiaro che in questo caso non si tratta di una persona priva dell’adeguata sensibilità, ma di una persona sviata da un mondo che ci bombarda solo di certi tipi di musiche e che magari vede anche un po’ compromessa la sua capacità di attenzione.
E questo discorso non vuole stabilire gerarchie tra persone, ascolti, letture ecc, sia chiaro! È solo per far capire il punto. Poi personalmente credo che esistano tanti tipi di qualità e ogni persona ha le sue, e credo anche che il prodotto di consumo, in musica come in altri settori, in sé non sia da demonizzare, finché è vissuto nel modo giusto. Non sono uno snob insomma, io stesso non vivo di poesie di Dante, dipinti di Pontormo e film di Dreyer!
Ho pure riso guardando un Cinepanettone, pensate!

Per quanto riguarda il discorso dei calcoli che fai tu: è giusto, le musiche che richiedono i calcoli più complessi tendono ad essere meno apprezzate. Su questo non siamo in disaccordo. Dico solo che secondo me, tolta una fetta inevitabile di persone che effettivamente non sono tagliate per certe cose, molti altri detrattori di musica complessa sono solo ascoltatori distratti, che potrebbero essere messi in condizione di apprezzare certamente studiando la struttura musicale di certi brani, ma anche solo allenandoli ad una disposizione d’animo più tranquilla e recettiva. Per esempio quando qualcuno che viene dal rock mi dice che vorrebbe imparare ad apprezzare la musica classica io non faccio il classico “percorso di avvicinamento graduale”, che consigliano quasi tutti, ma lo metto subito difronte all’ascolto che vorrebbe fare, preparandolo per&ograv

Rispondi
Luca
8/3/2015 13:48:07

Per esempio quando qualcuno che viene dal rock mi dice che vorrebbe imparare ad apprezzare la musica classica io non faccio il classico “percorso di avvicinamento graduale”, che consigliano quasi tutti, ma lo metto subito difronte all’ascolto che vorrebbe fare, preparandolo però preliminarmente con suggestioni e focalizzazioni dell’attenzione.
Non ho osservato un campione significativo, quindi la mia è solo teoria, però quando un’amica che ascoltava solo punk rock ha provato un’emozione devastante ascoltando un brano polifonico del ‘400 senza alcun percorso graduale, lo ammetto, ho pensato di averci visto giusto.

Rispondi
carlo pasceri
10/3/2015 07:03:47

Caro Luca, siamo in accordo in molte cose in questo tuo contributo, seppur in ordine sparso. (Per esempio la esagerazione dello studente che ha bisogno dello spartito per decidere se quella musica era di suo gradimento… E anche che la musica è del tutto asemantica… Che per poter essere più recettivi possibile dobbiamo svuotarci di aspettative…)
E anche laddove in certe parti esprimi e sottolinei un tuo punto di vista che si disallinea del tutto dal mio, in altre sembra allinearsi…
Dunque all’inizio affermi che per te la musica non ha bisogno di essere spiegata né è necessario conoscerne i principi teorici, perché la si apprezza per intima disposizione naturale. L’ascoltatore ha bisogno dell’apparato uditivo e basta secondo te, insomma la musica non ha ha bisogno di ulteriori supporti perché l’ascoltatore la “capisca”.
Poi però quando cominci a parlare di musiche di diversa qualità, funzione, genere ecc., di persone “che potrebbero essere messi in condizione di apprezzare certamente studiando la struttura musicale di certi brani… preparandole però preliminarmente con suggestioni e focalizzazioni dell’attenzione”, mi sembra che devii dalla tua partenza e arrivi o comunque ti orienti verso le mie posizioni.

Rispondi
carlo pasceri
10/3/2015 07:04:48

E mi sembra singolare la tua affermazione, che siccome “la musica in sé non ha contenuto semantico, non fa nemmeno riferimento a nozioni che è il caso di sapere per goderne meglio, cosa invece necessaria per altre arti.” Casomai il contrario (mica è prodotta a caso!) ; proprio perché asemantica e priva di riferimenti rappresentativi e autoreferenziale, la musica, per poter esser compresa più possibile, nelle sue profondità ed estensioni, può essere affrontata su vari piani e livelli. Questi vanno dall’accrescimento della capacità di concentrazione degli eventi sonori e loro collocazioni nella forma strutturale (e nello scenario sonico-spaziale), alla loro elaborazione analitica di contenuto, e conseguente sintetizzazione sia relativa sia assoluta dei brani nei vari alvei; che vanno dal pezzo stesso, all’opera (il disco), all’intero operato dell’artista in questione, e alla sua collocazione storica musicale prima nel proprio genere e poi, se si è in grado, allargando e di rendere assoluta la collocazione. Tutto ciò può essere di molto potenziato da nozioni (da basilari a superiori) della grammatica musicale.
(Nelle altre arti per quanto possano essere più celati i significati e distribuiti su diversi livelli, l’impatto e l’intuizione sono preponderanti, e laddove le cose appunto si fanno più astratte ed ermetiche come certa pittura e poesia, appunto ci si avvicina a una esperienza musicale e pertanto si ha più bisogno di guida.)
In presenza di musica, in noi si innesca un'impulsiva reazione emotiva, e la soglia per la quale avviene quest'effetto è bassissima. Questo contribuisce a celare la soglia razionale-cognitiva, quella per la quale in effetti la musica si compie. E di qui una serie di divagazioni e divergenze che poco hanno a che vedere con la musica stessa… Il fatto che siamo dotati di orecchie che ricevono e veicolano i suoni al cervello e che per intima disposizione siamo in grado di accogliere la musica perché il nostro cervello ci dice che in quei suoni c’è un’organizzazione (note) e queste note sono ordinate a loro volta in melodie e accordi e che tutto ciò è in sostanza coincidente e coordinato( in termini di frequenze e tempo), questo vuol dire comprendere perimetri e superfici e basta, appunto inconsciamente, e giudicare soggettivamente se quello che ci arriva ci piace o meno. Tutto qui. Invece per andare oltre a ciò e renderci sempre più consapevoli di quello che stiamo ricevendo, abbiamo bisogno di molta applicazione e studio.

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    Carlo Pasceri
    Chitarrista, compositore, insegnante di musica e scrittore.


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