Carlo Pasceri
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Libro Eroi Elettrici

Il jazzista più amato dai rocker

5/5/2019

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Avevo all’incirca venti anni quando m’innamorai di John Coltrane. All’epoca già suonavo da parecchio tempo e studiavo teoria da un po’, ma ero interessato ad altro, molto più vicino al Rock.
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Coltrane l’ho conosciuto a casa di un amico che ogni tanto faceva suonare un paio di dischi della sorella (che aveva qualche anno più di noi); poi logorai il nastro in cassetta che mi feci registrare da loro: sorta di antologia dei suoi brani più noti. ​Rammento che vi erano Dear John, My Favourite Things e Naima, i miei preferiti di allora; c’erano anche Giant Steps, Mr P.C., Acknowledgement, Blue Train, Afro Blue… Come resistere?!
Coltrane credo sia il jazzista più amato da appassionati e musicisti di Rock e dintorni, naturalmente il Coltrane più lirico e rilassato, non quello più schiettamente vicino all’hard-bop né quello free furente…
Diretta o indiretta che sia è nota la generale influenza che Coltrane ha ampiamente esercitato anche su musicisti e gruppi famosi: Grateful Dead e Allman Brothers Band, tanto per citarne solo due, coi loro pezzi modali e dilatati da improvvisazioni quasi liturgiche, oltre che lisergiche, lo confermano in pieno.
Certo la sua biografia, il suo essere un artista dedito a una ricerca musicale in modo quasi teologico, il suo esotismo, la sua prematura morte, ha contribuito al mito; ma ci sono preminenti ragioni musicali.
​
Coltrane ha un peculiare linguaggio tramite l’erosione dei moti melodici abituali, quelli della Classica e del Jazz ovvero rapide concatenazioni scalari di seconde minori/maggiori e di arpeggi di terze minori/maggiori; lui usa ampi spazi di quarta e di quinta, terza minore e seconda maggiore, peraltro di solito muovendosi in scenari alquanto statici (riff o pochissimi accordi) e suonando non rapidamente. C’è tutto il tempo di assimilare, gustare le note una a una…

Così il sassofonista realizza una musica “larga”, scarna e sospesa, priva di ornamentazioni melismatiche di riempimento, con slanci e rare tensioni e risoluzioni (perlomeno in senso tradizionale); anche la scala pentatonica, la prediletta dai chitarristi di estrazione rock-blues, offre facilmente queste possibilità.
Infatti il lessico di Coltrane è simile al pentatonico rock-blues, però il suo idioma è affatto diverso da quello, sia per gli sfondi musicali che adotta sia perché melodicamente predilige quei peculiari intervalli sopracitati ma anche perché spesso sovrappone alla base l’estensione di nona (seconda maggiore innalzata di un’ottava). Ha un diverso linguaggio anche perché non “piega” le note (lente appoggiature attorno a una nota), tuttavia adotta una specie di melisma per mezzo di ripetizioni quasi ossessive di alcuni passaggi. Va da sé che la sua immensa maestria nella pronuncia delle note fa il resto.

Agli ascoltatori tutto ciò offre da un lato una semplicità di fondo quasi arcaica, dall’altro una quota di novità che non può non affascinare: si è come pervasi da un’espressiva saggezza laica. E forse i più sensibili a queste musiche sono soprattutto quelli non avvezzi allo swing, al walkin’ bass e alle vertiginose sequele di accordi con conseguenti modulazioni tonali che di solito il Jazz esibisce.
Di questo aspetto coltraniano sono i rocker i più ammaliati: come non essere incantati da un pezzo come Wise One? 
​

​Su John Coltrane ho pubblicato l'analisi musicale del suo disco A Love Supreme.
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    Carlo Pasceri
    Chitarrista, compositore, insegnante di musica e scrittore.


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