Alcuni, almeno in parte, sono riusciti a ricalcare qualche orma, fondando pure riviste; in Italia ne sorsero alcune. A compensazione nacquero riviste musicali specializzate, alquanto tecniche. E parallelamente scaturirono le cosiddette fanzine, ossia pubblicazioni private e diffuse alla buona per opera di fan dilettanti: seguivano passo passo le gesta dei loro adorati e “vangelizzavano”.
Da qualche anno l’industria editoriale musicale sa che prodotti alla Sorrisi e Canzoni si “spacciano” bene, vendono di gran lunga di più di qualsiasi pubblicazione non amena sull’argomento. Infatti, fatta salva la libertà di ognuno di esprimersi (rispettosamente) su qualunque argomento, della pubblicistica musicale Rock si rimane sgomenti del crinale declinante un rasoterra, che sta arrivando a perforare anche la crosta del pianeta.
È incontestabile che la stragrande maggioranza di chi scrive di Rock e dintorni è pressoché un analfabeta musicale e quindi sostanzialmente inabile a scrivere di musica, se non riportare storie gradevoli appunto tipo “sorrisi e canzoni”, dunque tutto quello che c’è intorno alla musica, ma non di musica. E laddove non riporta analisi (che sarebbero per forza di cose scorrette), la logica e il buon senso dovrebbero frenare pure il fare sintesi, ossia emettere valutazioni in merito alla musica: il genere, lo stile, se suonata bene/male e, naturalmente, sulla qualità totale del disco.
Invece è invalso che chiunque scriva gli equivalenti di “sorrisi e canzoni” Rock, non si limiti all'aneddotica ed evidentemente avverta come diritto/dovere l’emettere sommarie stime di generi e stili, di qualità del suonato di questo o di quello, finanche a trancianti giudizi e stellette. Ovviamente è legittimo esprimere un giudizio del tutto soggettivo e paritetico rispetto al comune ascoltatore/lettore: a me piace tanto/poco, con tutte le eventuali sfumature.
A conferma di tutto questo inasprirsi verso il declinante perforare la crosta terrestre c’è la recentissima uscita di un libro sui King Crimson incentrato sul loro primo disco “In The Court Of The Crimson King” pubblicato nell'autunno del 1969: un disco diffusamente sopravvalutato, ma questo è un altro discorso… Di 180 pagine, solo una dozzina sono dedicate alla descrizione (appena un po’) musicale e dei testi del disco in oggetto. Tralasciando le pochissime, quanto approssimative e scorrette, asserzioni appena più specificamente musicali, facendola breve, tra le altre cose, l’autore afferma del disco ITCOTCK che è un’opera d’arte totale (musica + poesia + pittura) tipo Wagner, di “Moonchild” che ha una melodia inconsueta, del testo di “Epitaph” che raggiunge vette di lirismo degne della più grande letteratura inglese.
Qui, con meno di tre quarti d’ora di musica di ITCOTCK, i dipinti di Barry Godber per la copertina, e qualche riga di testo si tira in ballo Wagner (e, indirettamente almeno, il sig. Shakespeare). Bontà dell’autore del libro ce la riporta pure questa altissima letteratura che tanto ha toccato il suo cuore e la sua mente: “Confusione sarà il mio epitaffio, mentre striscio su un sentiero impervio e sconnesso. Se ce la facciamo, possiamo tornare tutti a sederci e ridere, ma io temo che domani piangerò”.
Il fuori misura e registro sono così esagerati che si va ben oltre lo scorretto, si giunge al ridicolo e al grottesco, e non aggiungiungo altro, lasciando ai lettori riflessioni su ciò (e che mi piacerebbe conoscere).
Rammarica il fatto che Lester Bangs, considerato il suo talento di scrittore, non si sia dedicato ad altro e si sia concentrato sulla musica, indirettamente favorendo simili pubblicazioni, però, almeno in virtù del suo estro e della sua capacità narrativa, era avvincente: basta non dare retta alle sue stime sulla musica che se ne ricevono dei buoni racconti che divertono e fanno passare alla grande il tempo.
P.S. Infine segnalo un’eccellente collana di libri di storia del Jazz di Gunther Schuller degli anni ’60, ripubblicata a cura dell’ottimo critico musicale Marcello Piras (Il Jazz, EDT edizioni). Piras, in un giusto rapporto di relazioni, in un altro testo si lamenta del suo mondo, che pure è molto meno umiliante di quello Rock. Della storiografia Jazz afferma che “è scritta per lo più da appassionati dilettanti, digiuni di teoria, che un po’ a orecchio riescono a seguire gli assolo, e si lasciano ipnotizzare dal carisma del performer, ma nulla sanno di cosa vi sia dietro. Come zingari incantati di fronte al Duomo di Milano, vedono solo una facciata meravigliosa, e non immaginano che essa nasconda solide travi e campate: una struttura matematica, invisibile ma indispensabile.”