Carlo Pasceri
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Libro Eroi Elettrici

Breakfast in America, la formula del successo dei Supertramp

29/3/2019

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I britannici Supertramp esordirono nel 1970 con l’omonimo disco, nel quale, ad atmosfere di raffinato Progressive, innestarono qualche sprazzo più aggressivo, melodie accattivanti e più asciutte (quasi pop) e qualche buon intervento solistico, pure di chitarra. Dopo il buon Indelibly Stamped (’71) e ben tre anni di “silenzio” pubblicarono il loro capolavoro Crime Of The Century (’74); seguirono l’ottimo Crisis? What Crisis? (’75) ed Even in the Quietest Moments... (’77), molto virato verso il pop-rock. 
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Nel 1979 il loro sesto disco, il best-seller Breakfast In America. Già erano una band di successo, ma questo album fu in tal senso un vero evento discografico. 
Quest’opera è basata sul piano elettrico, qua e là acustico (che nei dischi anteriori era invece prevalente); infatti, i brani sono canzoni primariamente nate al piano poi “vestite” col resto: ha non pochi debiti con il grande pop-rock di Elton John. L’umore generale è più brioso di altri loro dischi, che avevano momenti più mutevoli, giungendo a essere qua e là più gravi e densi.
I leader del gruppo sono i polistrumentisti (qui tastiere, armonica a bocca e chitarre) e cantanti Roger Hodgson e Rick Davies, che ottimamente si dividono gli oneri e gli onori di comporre (e cantare) i singoli pezzi di “Breakfast”. Sono altresì riusciti a produrre un sofisticato quanto distinguibile sound collettivo anche perché hanno ben amalgamato i loro brani con gli apporti degli altri componenti del gruppo: John Helliwell (fiati), Dougie Thomson (basso) e Bob Siebenberg (batteria). In particolare si distingue l’ampio uso solistico del sax, che predomina su quello della chitarra elettrica e del piano.

Breakfast In America è formato da dieci brani, tutti alquanto omogenei in termini compositivi, tranne (almeno parzialmente) uno, il primo: Gone Hollywood. Questo pezzo è qualcosa di più di una canzone, seppur duri cinque minuti, ha tratti più flessuosi che rimandano un po’ ai dischi precedenti “Crime” e “Crisis”.
Iniziale assolvenza di un accordo un po’ dissonante e thrilling, cui segue una quasi minacciosa linea melodica strumentale in registro basso rinforzata dalla chitarra distorta, contrappuntata da una particolare linea vocale. Dopo poco più di un minuto affiora una parte più statica in cui l’ordito musicale lentamente si infittisce di suoni, andando a comporre la trama per una nuova sezione cantata, che cresce ancora a 2’36” sospinta dalla “ritmica”, fino a giungere a una nuova sezione cantata. A 3’46” si riprende similarmente al principio per rapidamente passare al segmento finale con assolo di sax. Gone Hollywood ci rammenta i loro trascorsi più britannici…
Il resto è fondato su forme piuttosto semplici e reiterate (Logical Song ha una strutturazione metrica più particolare degli altri pezzi), con accattivanti melodie e continue scansioni ritmiche: è incessante l’uniforme pulsare musicale fornito soprattutto dell’apporto della batteria, che mai è stata così presente e linearmente metronomica. E se è vero come è vero che genericamente le melodie sono in forma discendente, in questo disco c’è un uso da primato di tale prassi compositiva: anche le progressioni armoniche sono in stragrande maggioranza discendenti.
Si segnalano una sorta di omaggio alle radici americane del primo Novecento nel brano Breakfast In America con l’andamento da marching band e conseguente adozione di tuba e clarinetto; il lirico intervento del sax soprano in Lord Is It Mine e il tocco vibrafonistico in Casual Conversation.
Il lato pop di Breakfast si manifesta anche nel fatto che le melodie si stagliano senza o quasi contrappunti polifonici (anche ritmici) che non siano qua e là di cori (spesso in falsetto alla Bee Gees); nell’assenza quasi totale di riff o linee indipendenti del basso (che si limita a seguire le note fondamentali delle sequenze accordali e il ritmo della cassa della batteria), nell’estrema uniformità dinamica (e di velocità durante i brani), nelle semplici armonie tonali. Comunque è presente qualche propensione modale, come nella conclusiva Child of Vision che alterna due soli accordi (e tenta di essere il contraltare di Gone Hollywood con la lunga coda di assolo di pianoforte e, in sfumando, di sax).

Tuttavia, seppur svanite tracce progressive, rispetto al precedente "Even" (il loro primo disco “americano”), Breakfast In America è tendenzialmente meno pop e più rock giacché più articolato strutturalmente; (in “Even” c’è una blanda sinuosità solo nel pezzo conclusivo Fool's Overture); peraltro ci sono più interventi solistici che nei precedenti album. Insomma meno lineare e più pulsante ed “elettrico” (soprattutto nel lato A del disco in vinile), infatti, oltre al prevalere del piano elettrico (in pratica mancante in “Even”) in “Breakfast” sono quasi assenti le preponderanti chitarre acustiche di “Even” a favore di quelle elettriche che, oltre ad arpeggiare qualche armonia, in ordine sparso rinforzano con timbri distorti qualche linea discendente, donando così una connotazione più rock a questo disco.
In conclusione, Breakfast In America è una solida e raffinata produzione musicale nella quale i protagonisti sono riusciti a trovare una loro formula che forse da tempo stavano cercando, ovvero equilibrare il lato iper accattivante del Pop con quello nobilitante del Rock. Non era una missione semplice, e loro l’hanno ben compiuta.
1 Comment
Ottavio
24/8/2021 20:57:48

Bel disco...

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    Carlo Pasceri
    Chitarrista, compositore, insegnante di musica e scrittore.


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