_Articolo pubblicato su Axe Magazine n.61 dicembre 2001
Questi tre CD ci danno l’opportunità di fare il punto della situazione (in due parole) nel campo della musica strumentale etichettata sbrigativamente con il termine Fusion. Infatti, questi lavori del compositore-chitarrista Kenny Pore e del sassofonista Eric Marienthal (già elemento dell’Elektric Band di Chick Corea a fianco ad un chitarrista come F. Gambale) coprono in termini temporali un po’ tutta la stagione Fusion: dai suoi esordi ufficiali agli inizi degli anni ottanta, proseguendo poi fino a metà anni novanta (con la collezione di Pore), e l’ultimissima produzione targata 2001 di Marienthal. Una cosa che è in evidenza quando ci si accosta ad un disco di musica fusion, è l’improbabile serie di nomi di musicisti intervenuti messi in bella vista: ne ho contati 17 e 22 per i due CD di Pore e 19 per Marienthal! Ciò è una buona tattica per attirare l’attenzione del cliente per l’acquisto del CD, infatti, l’imponente schiera di nomi dovrebbe attestare qualità e varietà d'apporti musicali; quasi mai è così. Ma andiamo per ordine e cominciamo (anche se sbrigativamente) con l’affermare che la Fusion è nata dalle ceneri del Jazz-Rock, entrato in crisi già dopo qualche anno dalla sua nascita vale a dire intorno ai primissimi anni settanta. La spinta propulsiva del Jazz-Rock si è esaurita probabilmente perché il genere era un po’ troppo immobile e poco espressivo, appoggiandosi a virtuosismi spesso fini a se stessi. La Fusion, complice il contemporaneo epilogo del Prog, si è presa la briga di tenere alto il vessillo della musica strumentale, comunque impegnata e impegnativa; o giù di lì. Ovviamente alcuni nomi non sono stati intaccati poi molto da ciò, almeno apparentemente, e in ogni caso hanno reagito positivamente a quest'enorme crisi che interessava molte persone. D’altronde erano i tempi dei successi di gruppi come Ramones, Sex Pistols e Van Halen, insieme con la “nuova ondata” inglese, hanno dato la definitiva spallata che ha buttato giù quella musica un po’ intellettuale, pomposa e snob, non certamente diretta e cruda come quella propugnata dai suoi nuovissimi antagonisti.
La Fusion quindi ha cercato di svecchiare e rendere più immediata e godibile la musica strumentale, con una sintesi di contenuti e una ricerca ossessiva e ossessionante della forma: doveva essere il più possibile fresca, moderna e gradevole, perfetta sia nella riproduzione dei suoni sia nell’esecuzione. Ciò si è concretato in un'apprezzabile ricerca melodica che fosse sicuramente più incline ad una certa cantabilità dei temi, coniugandola con armonie molto jazzy e ritmi e suoni spesso presi a prestito a culture non occidentali. Già verso metà degli anni settanta c’erano gruppi come i The Crusaders e artisti come l’organista Brian Auger, il batterista Billy Cobham, il pianista Herbie Hancock che stavano cercando di evolvere il Jazz-Rock in una forma meno arrabbiata e minacciosa contaminandolo fortemente con il Funk, poi altri, come i chitarristi Larry Carlton e Lee Ritenour (forse i primi veri e grandi chitarristi di fusione), il tastierista Jeff Lorber, i sassofonisti Tom Scott e David Sanborn insieme a gruppi come Spyro Gyra, Mezzoforte, Yellow Jackets e Steps Ahead, nel decennio successivo hanno messo in pratica sintetizzando ancor di più quello che nel decennio precedente era già stato ben amalgamato, registrando pregevoli dischi con uno stile espressivo solare ed estroverso. Purtroppo con il passare del tempo la vena creativa è venuta meno e anche questo genere è entrato in crisi, ma per dei motivi del tutto diversi a quelli del Jazz-Rock, infatti, qui abbiamo probabilmente delle ragioni che sono da ricercare innanzi tutto nell’eccessiva ricerca di perfezione formale che ha portato a dei prodotti sicuramente puliti in termini sonici, ma inespressivi; o meglio, che esprimevano quel poco di vissuto e algido ottimismo che tanto mettevano in mostra, ma che non scaldavano il cuore degli audiofili. Per quanto riguarda i suoni utilizzati, si cercava di non impiegare assolutamente timbri che potessero riportare agli anni settanta, quindi se n'esploravano di nuovi (ma soprattutto d’imitare quelli acustici) e talvolta quelli usati erano originali ma oggettivamente non belli. Eppure non è questo il vero problema, il paradosso è che la Fusion è invecchiata proprio attraverso questo continuo cambio di vestiti timbrici non creando mai degli effettivi classici: possiamo datare piuttosto precisamente i dischi dell’epoca attraverso i suoni che utilizzava la tastiera, il tipo di rullante del batterista o il timbro distorto del chitarrista! Per quanto riguarda i contenuti, la questione è che troppo spesso ci si è limitati ad imbroccare qualche buon motivo, efficace e cantabile (talvolta ci sono proprio dei cantanti), ma che frequentemente faceva somigliare un brano fusion ad una qualsiasi canzone del pur apprezzabile e rispettabile repertorio della “song” americana. C’è d’altra parte da ricordare che questo è stato ed è un fenomeno musicale soprattutto americano, (Pore e Marienthal sono qui che lo confermano): troppo edonismo, autoindulgenza ed eccessive cadenze diatoniche hanno messo in ginocchio questo genere, raggiungendo dei vertici assoluti di banalità con la maggior parte delle produzioni della GRP, dandogli il colpo di grazia e cristallizzando la Fusion in un sottogenere disimpegnato, utile a sonorizzare i nostri acquisti al supermercato o testare gli stereo (spesso da automobile) degli audiofili amanti dell’alta fedeltà. E diciamo pure che tutta questa gran perizia strumentale, questa classe che i portabandiera (degli anni ottanta e novanta) del genere, così messi in evidenza nelle confezioni dei CD, non è poi così palese: usualmente abbiamo dato per scontato che le loro prestazioni fossero lo stato dell’arte della maestria strumentale, ma un ascolto attento e meno alterato da generosi preconcetti, ci potrebbe illuminare a riguardo. Questi CD sono stati l’occasione di questo parziale e breve resoconto di quello che è stato un fenomeno che nel bene e nel male, volenti o nolenti ha interessato un po’ tutti: appassionati e musicisti anche d'aree lontane da questa, ma non immuni dalla loro importante influenza. D’altronde questi CD sono l’esempio tangibile di tutto quello che ho detto di negativo. Kenny Pore ci ha dato l’opportunità attraverso i suoi due dischi di riascoltare molti famosi musicisti (Robben Ford, Michael Landau, Paul Jackson Jr. Vinnie Colaiuta, Chad Wackerman, John Patitucci, Russell Ferrante) in sessioni non famose ma storicizzabili nel contesto dell’epoca, in brani che nella loro insipienza ci lasciano insoddisfatti, ma almeno provenienti dal passato e in un certo qual modo se non giustificabili sono almeno comprensibili nel loro fatto d’esistere. Ma per Marienthal che scusa possiamo adottare? Forse perché la libertà d’espressione negli U.S.A. è ritenuta sacra? |
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