Carlo Pasceri
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Pubblicazioni > Riviste musicali

_Articolo pubblicato su Axe Magazine n.26 ottobre 1998

Power Fusion Trio 

di Carlo Pasceri

Pedali
Allan Holdsworth in trio nel 2009
Ricordo la prima (seria) volta che mi sono esibito in trio, anni or sono, come una specie di esame.
Dico esame, perché fino allora avevo avuto esperienze di power fusion in quartetto, talvolta in quintetto, e di conseguenza non avevo le idee molto chiare su come affrontare la nuova situazione.
È una sfida che, tremolii delle vene dei polsi a parte, consiglio a tutti in quanto molto formativa.
Il primo vero problema sta nel coprire il lavoro del tastierista; si è costretti (sigh) a svolgere un lavoro armonico veramente impegnativo: è noto che i tastieristi hanno un vocabolario armonico mediamente superiore a quello di un chitarrista; il che, sommato alla ricchezza di suoni che hanno a disposizione e alla possibilità del loro strumento di orchestrare le armonie, fa in modo che sostituirlo sia non proprio agevole. In assenza  delle strutture sonore architettate dal tastierista, non possiamo più riposare o svolazzare; al contrario quasi sempre siamo noi a dover strutturare il brano, impegno che spesso viene un po' trascurato in nome di un'estrosità che è nel DNA di noi chitarristi.

Quando poi andiamo in assolo, sembra che tutto si sgonfi e s'ingarbugli, la classica goccia di sudore comincia a imperlarci la nostra fronte: il panico è vicino! Ho dovuto imparare prima a sentire e poi a far sentire le armonie (agli altri musicisti e al pubblico), anche durante un solo. Si fatica molto per trovare la lucidità necessaria nei confronti della struttura del brano; in una parola bisogna quadrarsi; poi  possedere un esteso vocabolario armonico-melodico. Per tutto questo l'esperienza jazzistica è fondamentale.
Anche i suoni che riempiano sono importanti; infatti la prima mancanza che salta alle orecchie è lo scarso impatto sonoro che ha di solito un trio.
In questo il rock mi ha veramente aiutato.

Superati questi problemi (ancora non sono sicuro di averli superati), non ci s'illuda che sia finita; non bisogna dimenticare i piani sonori, le prospettive, le varie dimensioni che, più strumenti si hanno a disposizione, più semplice è far risaltare. Di conseguenza in trio  è facile trovarsi a suonare in bidimensionale (ovvero in maniera piatta, senza profondità) invece che in tridimensionale.

Per ottenere una resa in questo senso, cerco di fare attenzione alle dinamiche, ai colori timbrici e naturalmente all'assegnazione delle parti musicali. Spesso però ci si preoccupa troppo di fare affannosamente le veci in tutto e per tutto del tastierista; invece occorre un'elasticità che ci permetta di divertirci e divertire. Insomma, l'equilibrio nel sistemare le parti dei vari strumenti, seppur pochi (anzi proprio per questo),  è importantissimo.
Ricordiamoci che non siamo soli: possiamo arrangiare le parti in modo che anche gli altri compagni di viaggio fatichino un po’ più del solito! A questo proposito mi viene in mente che qualche tempo fa, affascinato dal brano Billy The Kid  del compositore americano Aaron Copland,  suonato da Bill Frisell (che a sua volta lo aveva arrangiato per un quintetto con fisarmonica e clarinetto), fui costretto a farmi coadiuvare dal basso che, complice un fantasioso tapping, risolse brillantemente la questione.
Naturalmente ho ascoltato moltissimo i trii dei vari A. Holdsworth, P. Metheny, J. Pastorius, B. Frisell, ma anche J. Hendrix, S.R.V., Police, Van Halen e J. Hall.
Anche l'ascolto di situazioni diametralmente opposte, come per esempio le orchestre, si è rivelato molto importante. 
L'esperienza fatta nel '90 con l'Orchestra Europea di Jazz diretta da James Newton, con la quale abbiamo suonato e inciso un disco dal vivo con brani di T. Monk, D. Ellington e dello stesso Newton, si è rivelata molto costruttiva.
Eravamo in 23: è una grande emozione sentirsi un tutt’uno con quella massa sonora; o, quando si è in assolo, sentirsi spingere così potentemente; ma quella facilità, una volta fatta bene la propria parte scritta, alla lunga forse è poco stimolante pur suonando in un super 3D.

Non ho mai amato alla follia i riverberi e gli echi da Grand Canyon, ma in trio possono essere utili per avere, con poco sforzo, più materia sonora e timbrica a disposizione.
Lo stimolo nel ricercare nuove soluzioni timbriche in un trio è potente, ma pur possedendo un guitar synth, non l'ho mai sfruttato proprio per non cadere nella trappola di clonare timbri ed effetti di un tastierista.
La sola cosa che ricercavo all'inizio era l'equilibrio per non cadere. Mi sembrava di stare costantemente  sull'orlo di un precipizio (proprio quello del Grand Canyon).
Questa responsabilità, allora, mi piombò addosso come un macigno.
Ne fui atterrito ma anche stimolato.

Oggi porto ancora avanti un mio progetto in trio e sono felice di non essermi abbandonato allo sconforto iniziale. Intendiamoci: a volte mi trovo ancora in difficoltà, ma con l'esperienza cerco di non farlo capire troppo a chi benevolmente sopporta tutto il rumore che gli scaravento addosso.

Buon trio a tutti!


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