Carlo Pasceri
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Libro Eroi Elettrici

Mahavishnu tra il nulla e l'eternità: il primo capitolo si chiude

30/10/2018

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Il terzo disco della Mahavishnu Orchestra, Between Nothingness & Eternity è un disco molto più interessante di quanto potrebbe sembrare: ha alcune singolarità. ​Quella che salta subito all’occhio è che consta solo di inediti: tre brani (naturalmente piuttosto lunghi). Pertanto non sono inclusi alcuni cavalli di battaglia come quasi sempre accade nei dischi registrati dal vivo.
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Si potrebbe pregiudizialmente pensare sia un disco un po’ raffazzonato, tanto per pubblicare qualcosa magari per contratto: il gruppo era pervaso da malumori e litigi, infatti, la prima versione della MO ebbe termine proprio con questo album, registrato al Central Park di New York nell'agosto del 1973 e pubblicato in novembre.
Ma BN&E non è poco più di jam (eseguite da fuoriclasse) su minime strutture, brani abbozzati, i tre pezzi sono ben più di un pretesto per lunghissime improvvisazioni, lo dimostrerebbe la singolare e postuma pubblicazione (1999) di The Lost Trident Session, che includeva i tre brani di BN&E (più altri tre).
Questo è un disco estremamente modale, basato su pochissimi elementi armonici/polifonici, con forme alquanto basilari e strutture ridotte, con molte interazioni e interventi solistici di John McLaughlin (chitarra), Jan Hammer (tastiere) e Jerry Goodman (violino).
Parecchio centripeto, compatto, poco arioso ed eterogeneo, una potentissima molla compressa che raramente sprigiona tutta la sua capacità, distendendosi: energia in tensione, scuro. 

Trilogy (di McLaughlin e diviso in tre sottotitoli) è il primo pezzo e le coordinate sono quelle del brano Birds Of Fire, evocativi colpi di gong e subito a seguire arpeggio di chitarra in metrica dispari (7/8); si sovrappone una frase in unisono di tastiere-violino-batteria (Billy Cobham), col basso di Rick Laird (missato molto debolmente) che marca alcuni punti.
Seguono combattivi duetti McLaughlin/Hammer, con la “ritmica” che li supporta.
Dopo qualche minuto si acquieta il tutto e prende vita un’altra sezione con protagonista Goodman, prima con l’esposizione reiterata di un tema (doppiato dal basso che poi suona un sorprendente quasi tumbao afrocubano), poi, dopo un eclatante cambio di velocità con ritmo variato e metro pareggiato in rapidissimo 14/4, in assolo puntellato da un riff. Ancora scambi di sciabolate tra chitarra e tastiere. Per il finale si riprende l’arpeggio iniziale con l’innesto, a circa 12 minuti, di un altro riff, la conclusione con l'obbligato già presentato varie volte (quella a 3'41” esecuzione un po' confusa).​
Sister Andrea (firmata Jan Hammer) è in tempo medio, semplice ma un po’ sincopato riff di due misure in 4/4: potrebbe essere un pezzo funky-rock di Buddy Miles; ma no, dopo poco un minuto in modo graduale però rapido, l’atmosfera si fa più tesa. Cambio di riff, che comunque se non fosse per la metrica (17/8) potrebbe ancora essere di Buddy o simili; però con interazioni di tutt’altra natura, quasi da opera melodrammatica.
Sale al proscenio la vorticosa quanto aggressiva chitarra di McLaughlin: a fronte di un tocco e un’articolazione degna di Hendrix e non banalmente adottando un suono distorto (qui spesso filtrato da un simil Univibe), egli riuscì a fondere un suono realmente rock con un lessico colto e fuori dalla norma. Il risultato? Unico.
Poi è la volta del violino ultra filtrato di Goodman che improvvisa, con la band che riprende il riff iniziale (con qualche licenza); dopo uno stacco, temperatura in discesa, si riprende la seconda sezione apparsa precedentemente, con assolo di Hammer al sinth (Moog); temperatura in salita... 
Coda inaspettata: velocemente, su una nota trillata, termina il pezzo.
Dream (McLaughlin), un canovaccio molto semplice costituito da un riff minimale, qualche interazione melodica con accordi, brevi obbligati, interventi solistici, cambi di ritmi e con modulazioni metriche: in sostanza le hanno inventate loro o comunque manifestato per primi nella forma più sistematica; così si possono permettere di generare un’interessante quanto elementare suite di oltre venti minuti.
Principia sottovoce, in un clima quasi “pastorale”, con chitarra classica e violino su un sommesso pulsare di note in bassa frequenza; gradualmente, dopo qualche minuto, piano elettrico, batteria, e le stesse note espresse con più energia, preludio di un’importante cambio di scena.
Macro tempo in 5/4 con nota LA ribattuta e terzinata, assolo di piano elettrico, Cobham interagisce come suo solito reticolando continuamente micro impulsi ritmici sul rullante: così rende ancor più serrato il ritmo di 15/8 che si produce. Poi emerge un motivo ascendente che spinge tutto all’insù, velocità e intensità. Stop, piano elettrico e chitarra. Non dura molto, riprendono tutti più furenti di prima: l'energia è da band hard-rock. Successivamente una spettacolare serie di modulazioni metriche. Qui non è il caso di entrare nei dettagli, basti sapere che mediante queste variano umori e atmosfere, mantenendo tuttavia una sottesa consistenza unitaria: grandiosi.
Si susseguono roventi assoli, anche un duetto tra chitarra e batteria, da soli: sembra un duello…
Si conclude con una fase quasi elegante, un agile e leggero funkeggiare che potrebbe rammentare l’Herbie Hancock di quel periodo, al netto delle lancinanti note che sovrappone il leader sostenuto da Goodman; comunque tutto rapidamente tramonta come intensità e velocità fino al gong terminale.
Insomma Between Nothingness & Eternity è un disco che per alcuni versi è al tempo stesso cesura e cerniera tra la prima edizione della Mahavishnu Orchestra e la seconda (tutta nuova) di questo formidabile gruppo; anche se apparentemente è piuttosto diverso da Apocalypse, in cui c’è addirittura qua e là la prestigiosa London Symphony Orchestra e l'impiego della voce, alcune sezioni, idee e indoli sono state riprese. Da riscoprire.

John McLaughlin è uno dei grandi chitarristi solisti che ho raccontato nel libro Eroi Elettrici.
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    Carlo Pasceri
    Chitarrista, compositore, insegnante di musica e scrittore.


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