Dopo molti anni un po’ rivalutato, Turn Back fu invece un’ottima prosecuzione dei due precedenti, pure perché un po’ differente: è un album più duro, poco o nulla funky, shuffle e “classicheggiante”; caratteristiche che fino ad allora avevano permeato considerevolmente il loro grintoso rock.
(IV avrà meno queste caratteristiche: più omogeneo e lineare; probabilmente anche per ciò ebbe molto più successo commerciale.)
Rispetto ai precedenti (e poi anche dei futuri) è meno dominato compositivamente dal tastierista David Paich; la chitarra elettrica di Steve Lukather è un po’ più in evidenza, sia come parti sia come missaggio.
Goodbye Elenore (pubblicato pure come singolo) fu l’unico brano che ebbe un po’ di successo e diffusione; un rapido hard rock(’n’roll) che si distingue per essere l’unico pezzo shuffle, per avere un paio di interpolazioni classicheggianti e un solo di chitarra con più di un paio di note molto audaci (Lukather mai così né prima né dopo coi Toto).
Gift with a Golden Gun apre l’album e le coordinate sono chiaramente quelle del Rock più commerciale dell’epoca (che loro stessi avevano qua e là contribuito a diffondere); radiofonico, da arena: un hard-rock senza eccessi, con cori e facili, accattivanti, motivi melodici: questo stile fu denominato A.O.R. (album oriented rock).
English Eyes, benché sulla falsariga del precedente, è di caratura maggiore. Per due minuti riff e motivi cantati, poi notevole abbassamento d’intensità con inserimenti di due sezioni e parti strumentali più raffinate.
A Million Miles Away è una tesa ballad, assai dinamica e sinuosa; magnifica.
Di modesta qualità pure la seguente I Think I Could Stand You Forever, ma ha un andamento variegato (inizia acustica - voce/chitarra/pianoforte - stacco hard-rock e prosegue saltellante) e con eccellenti interventi solistici di Lukather.
Senza soluzione di continuità attacca con sequenze di tastiere Turn Back, brano raffinato e policromo ma non difficile, un po’ epico ma non ampolloso; senza dismisure, in meno di quattro minuti, contenuti e forme non banali.
Il disco si chiude con If It's the Last Night, altra ballad, elegante, perlomeno nel suo brasileiro andamento iniziale a mo’ di bossa nova e per il lavoro del basso sul registro alto; poi “apre” molto USA con motivo ascendente a coro dispiegato.
I Toto dopo il mezzo fallimento commerciale di Turn Back tentarono, riuscendoci alla grande, di risollevarsi con IV, vuoi per l’indovinato battage pubblicitario, vuoi per l’omogeneità delle canzoni, vuoi per l’adozione di timbri un po’ differenti (qua e là fiati e archi), vuoi riprendendo venature funky e shuffle - cui peraltro dopo non rinunceranno più, anzi, mediamente accentuandole**.
Ma la ricchezza di dinamiche e varietà accostate o amalgamate in brani squisitamente rock dopo Turn Back non si troverà più nei dischi dei Toto, ciò non è un giudizio valoriale, ma un dato di fatto.
Turn Back ha più di un brano di ottima qualità, ma anche qualcuno di più dimessa (non in misura maggiore del successivo IV). In ogni caso tutto questo non c’entra col successo e quindi coi gusti.
D’altronde i Toto continuarono a pubblicare dischi complessivamente di gran lignaggio, il loro standard sempre elevato, continuando con stilemi che avevano scelto di non usare in Turn Back.
Dunque, ecco perché è un loro importante album: con ridottissime quote funky e shuffle (ciò che li aveva resi particolari - quasi fusion - nel panorama rock e che li caratterizzerà pure poi) Turn Back chiuse in modo originale il loro primo ciclo, quello con brani più articolati.
* David Paich tastiere e voce, Steve Lukather chitarra e voce, Steve Porcaro tastiere e voce, Bobby Kimball voce, David Hungate basso e Jeff Porcaro batteria e percussioni.
** Con l’eccezione di Isolation (1984).