Carlo Pasceri
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The Tubes: oltre Rock e trasgressione, c'è molto, molto di più

16/11/2024

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Non rammento come conobbi il gruppo rock americano The Tubes e con quale disco in particolare, ma ricordo che ero molto giovane e che mi conquistò subito.
Approfondii la loro conoscenza appena possibile (le loro prime tre pubblicazioni all’epoca erano scarsamente reperibili); i dischi più famosi erano il doppio dal vivo del ‘78 What Do You Want from Live, Remote Control (il quarto in studio del ‘79) e il successivo The Completion Backward Principle (‘81).
Poi acquistai Outside Inside (il sesto in studio del 1983), che mi convinse a trovare a tutti i costi i tre dischi dei loro esordi.
​Il nucleo all’inizio era un settetto che anno dopo anno si è espanso anche con apporti esterni di vari collaboratori e turnisti.
Questa loro caratteristica di grande ampiezza si riscontra nella loro musica, che è sì basata sul tradizionale Rock americano, fatto di energiche canzoni con alcune convenzionali soluzioni dei fattori musicali (ritmo-melodia-armonia-timbro), ma poi sorprendono mediante repentine torsioni, che innovano il paesaggio rock che peraltro all’epoca del loro primo disco, 1975, era in una fase di transizione piuttosto critica.
​
Satira e trasgressione, testuale e visiva; quasi teatrali i loro grintosi concerti, la musica segue tutto ciò, ma a un superficiale ascolto potrebbe sembrare normale Rock, con cori e qualche simpatica melodia e bizzarria. Però, con un po’ di attenzione, emergono parecchie cose eccentriche; facendo davvero attenzione, ecco apparire una gran quantità di raffinate e sofisticate soluzioni.
È quindi un gruppo molto particolare sia formalmente sia come musica in sé; eccezionale nel riuscire a mescolare benissimo contenuti e stili eterogenei. Per tutto ciò sono stati, ancorché vagamente approssimati, a Frank Zappa.
La formazione: voce, John Waybill (Fee) - chitarra e voce, Bill Spooner e Roger Steen - basso Rick Anderson – batteria, Prairie Prince – tastiere, Vince Welnick e Michael Cotten.
The Tubes, l’omonimo disco di debutto, fu prodotto da Al Kooper; Spooner, un fondatore del gruppo, principale compositore per i primi dischi.
La loro importante parabola è di circa dieci anni, fino al 1985 con il settimo disco (in studio) Love Bomb; buona prova, ma che comincia a risentire di un rilevante calo di creatività. D’altronde dieci anni sono molti per un gruppo rock, e il mondo musicale (e non solo) era assai cambiato.
 
La loro prima opera (The Tubes) è già un potente manifesto della loro estetica e poetica; il brano d’apertura, Up from the Deep, quattro minuti e mezzo (media durata dei loro brani) di “stravaganze”.
L’insistita intro di voci “fuori campo”, arpeggi e ritmiche sincopate e passaggi di tempi dispari, poi sembra si stabilizzi col cantato, ma dura poco. Sezioni che si susseguono giustapponendosi in puri termini musicali e stilistici, con presenze di strumenti alquanto inusuali, da quelli orchestrali ai sintetizzatori. Ecco, questa è un’altra caratteristica dei Tubes, tastiere (specialmente sinth) sono mescolate a chitarre elettriche distorte con derive inusitate.
Il cantato non sarà più ripreso, il brano è una sorta di suite condensata che termina con una sezione mai esposta in precedenza.
Si segnala la breve introduzione di Haloes, con archi e sinth, la lunga coda finale strumentale con modulazioni e caricamenti batteristici da doppia cassa Metal ancora da venire che innervano l’apparato e l’atmosfera quasi da overture operistica.
L’inserto zappiano di mezzo minuto in Space Baby (3’03’’).
L’arrangiamento di uno standard messicano-spagnolo Malagueña Salerosa.
La seconda parte del disco si apre con Mondo Bondage, con l’intro di batteria “ispirato” a quello di Rock and Roll dei Led Zeppelin, ma poi si va da tutt’altra parte, per non dire della lunga parte finale, strumentale.
Si ascolti What Do You Want From Life, con simpatico motivo cantabile e ritmo ballereccio; a metà, breve duetto tra sinth e basso, poi solo di chitarra elettrica, ripresa del motivo modulato e con diverso accompagnamento per poi sfociare in una declamazione da imbonitore televisivo con cori femminili e manipolazione finale del nastro (voce maschile).
​
Si prosegue su questo crinale col successivo Young and Rich (‘76), ma semplificando.
Apre con Tubes World Tour, ragguardevoli sequenze sinth da electronic-dance (novità all’epoca), poi moderno R&R…
Brighter Day, tra i pezzi più semplici del loro catalogo - dunque notevole per ciò - dominato dalle chitarre, sia elettriche pesantemente filtrate che, addirittura, classiche.
Tutt’altro che semplice la canzone Pimp, dagli impasti timbrici (c’è di tutto e molto ben amalgamato) a giochi con ribattuti di echi e riverberi (intro), ritmi sincopati con qualche misura dispari e modulazioni melo-armoniche. Sicuramente di non facile presa (peraltro nei loro brani quasi assenti ritornelli accattivanti), comunque molto intrigante.
Slipped My Disco, dal titolo si può evincere quale la loro “ispirazione”, ma è solo la superficie, come è solito loro; devia e assai.
Poland Whole/Madam I'm Adam altra mini-suite alla loro maniera; inizia pacata, svolgimento complesso, finale tutt’altra cosa, con sezione mai apparsa prima.
Now del 1977, consolidata la presenza di Re Styles (Shirley Marie Macleod), alla voce e l’entrata di un ex Santana, James Mingo Lewis (poi anche con Al Di Meola) alle percussioni, che contribuisce con un suo interessante brano strumentale God-Bird-Change.
Presente anche una versione di una canzone di Captain Beefheart, My Head Is My Only House Unless It Rains.
Menzione pure per la peculiare canzone Cathy's Clone, specie di modernissimo tango; semplice, lineare e “dark”, con strazianti interventi qua e là di sax soprano (Captain Beefheart, benché non accreditato).
Now è l’opera dei Tubes più omogenea, compatta, sia in termini compositivi sia di suoni impiegati.
​
Ancorché a loro agio in studio di registrazione con produzioni sontuose (specialmente per i primi due dischi), nei concerti ritornano a essere ciò che naturalmente erano in origine, “animali” da palcoscenico: nel 1978 la pubblicazione di What Do You Want From Live* restituisce il loro poderoso e straordinario fare musica, privilegiando il lato più semplice che stava emergendo.
Infatti, il successivo Remote Control (‘79) è di questa tipologia.
Prodotto da Todd Rundgren, è insieme al consecutivo quello mediamente più apprezzato della loro discografia, si può comprendere il perché: vigoroso, tirato e con alcuni motivi melodici accattivanti e cantabili, le forme dei brani più usuali e quindi semplici; più ripetizioni, più canzone. Comunque, bel colpo di coda assestato col brano finale Telecide
​Dunque, anche The Completion Backward Principle (‘81) è così, modernissimo R&R fuso con la canzone pure funkeggiante, rinunciando alle sofisticate eccentricità delle origini (sebbene episodicamente emergano): ormai hanno preso questa strada.
Prodotto da David Foster che, ancor più di Rundgren, influenza il gruppo, giungendo a cofirmare ben quattro pezzi (vede pure la partecipazione in un brano di Steve Lukather).
Menzione per Amnesia, benché convenzionale, gran pregio.
Outside Inside (‘83) è sulle coordinate precedenti, ma con delle novità.
Con ancora Foster (che però firma solo il brano di apertura insieme con Lukather) She's a Beauty, ed ebbe un discreto successo.
Tutta la prima parte è ancora più “easy” dei precedenti, pur mantenendo il loro caratteristico martellamento, è meno serrato e più morbido, più vicino a un certo rock-fusion alla Toto o Journey, con addirittura piccola sezione fiati e interventi solistici. Intrigante la versione molto personalizzata di The Monkey Time composta da Curtis Mayfield.
La seconda parte è meno rock FM e un po’ più “dark” e funky. Quando non direttamente interi brani come Wild Women Of Wongo, Drums e Outside Lookin' Inside - ci sono mini torsioni in tal senso come in Tip Of My Tongue alla EW&F (Maurice White coautore) da 2’19’’ a 2’49’’ e Theme Park: ancora sorta di middle eight da 1’35’’ a 2’09’’ e nel finale.
La traiettoria principale dei Tubes si conclude con Love Bomb (‘85), ancor meno rock e più funk-dance, ritorna Todd Rundgren e partecipa come coautore più pesantemente di Remote Control.
Inferiore ai precedenti, perché sono troppo ricalcate soluzioni ascoltate da loro e da altri. Comunque, un buon commiato, con ancora qualche buon pezzo.
Otto dischi (compreso il doppio dal vivo) mediamente di gran rango, con gli apici creativi iniziali e quelli più accattivanti della seconda parte della carriera. In ogni caso musica scritta ed eseguita in modo impeccabile, che si discosta da molti altri grandi e famosi gruppi dell’epoca per una vera, manifesta, eccentricità creativa, in seguito non poco sacrificata per stare a galla nel mercato; divennero più convenzionali in tutto (specialmente nel ripetere contenuti e sezioni), tuttavia sempre con rilevante originalità.
 
Per i più “zappiani” si consiglia The Tubes, per ascolti più facili ma variegati in generi e stili e brillantemente accostati e fusi Outside Inside, per la via di mezzo – e più propriamente rock - Remote Control.

​
* Registrato all’Hammersmith Odeon di Londra nel novembre del 1977
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    Chitarrista, compositore, insegnante di musica e scrittore.


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